Un titolo apparentemente innocuo, un gruppo Facebook da oltre 32mila iscritti, una comunità virtuale che, dietro la maschera dell’ironia, nasconde una delle forme più subdole di violenza di genere: la diffusione di immagini intime senza consenso. È il caso di “Mia moglie”, oscurato solo dopo numerose segnalazioni, che ha scosso l’opinione pubblica e riportato al centro dell’attenzione il tema della violenza digitale. A commentare la vicenda è la Consigliera di parità provinciale di Potenza, Simona Bonito, che parla senza giri di parole: «La tecnologia non crea la violenza, ma la moltiplica. In questi spazi online, il corpo delle donne diventa ancora una volta terreno di esposizione, giudizio e mercificazione. Non c’è nulla di goliardico: è violenza a tutti gli effetti». Secondo Bonito, il problema non è soltanto di chi pubblica contenuti, ma di chi li consuma: «Ogni like, ogni commento, ogni condivisione amplifica l’abuso. Una platea digitale fatta di migliaia di utenti che, anche con superficialità o indifferenza, contribuisce a rendere “normale” una pratica che invece è devastante per chi la subisce». Il fenomeno, purtroppo, non è isolato. I dati della Polizia Postale confermano un aumento delle denunce per revenge porn e diffusione illecita di immagini private. Dal 2019, con il cosiddetto Codice Rosso, esiste un reato specifico, ma la legge da sola non basta: «Abbiamo bisogno – ribadisce Bonito – di piattaforme più responsabili. Non è sufficiente scrivere regole: servono procedure di rimozione rapide ed efficaci. Nel frattempo, le immagini viaggiano, si salvano, si replicano in altri spazi digitali.
E i danni diventano irreversibili». Se la tecnologia accelera la violenza, la risposta – secondo la Consigliera – deve passare dall’educazione: «Troppo spesso pensiamo che la formazione digitale sia un tema solo per ragazzi. Ma sono gli adulti a popolare questi gruppi, a perpetuare stereotipi, a sottovalutare le conseguenze.
È necessario un percorso di educazione civica digitale che coinvolga scuole, famiglie, associazioni, luoghi di lavoro. Dobbiamo ribadirlo con forza: la condivisione senza consenso è violenza, e non è un atto senza conseguenze». Bonito ricorda infine che le vittime non sono sole: «La Polizia Postale raccoglie denunce anche online, il numero 1522 garantisce ascolto e supporto immediato, i centri antiviolenza offrono consulenza legale e psicologica. Ma per molte donne questi strumenti restano sconosciuti, e la solitudine diventa il peso più grande da sopportare». Il caso del gruppo “Mia moglie” diventa così un campanello d’allarme.
«Se non si interviene con decisione – conclude Bonito – rischiamo di trovarci di fronte ad altri spazi digitali simili, con nuove vittime esposte e umiliate. La domanda non è più se questi fenomeni esistano, ma fino a quando la società sarà disposta a tollerarli».