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Editoriale

Non con i miei soldi. Non con i nostri soldi

di don Marcello Cozzi

Parlare di pace in tempi di guerra è necessario, ma è tardi.
Non bisogna aspettare una guerra per parlarne. Bisogna farlo prima.
Bisogna farlo quando nessuno parla delle tante guerre dimenticate dall'Africa al Medio Oriente, quando si costruiscono mondi e società sulle logiche tiranniche di un mercato che scarta popoli interi dalla tavola dello sviluppo imbandita solo per pochi frammenti di umanità; bisogna farlo quando la “frusta del denaro”, come direbbe Papa Francesco, alimentando ingiustizie sociali scortica la pelle di tanta povera gente, mortifica il futuro di popoli interi e arma i poveri gli uni contro gli altri.
Bisogna parlare di pace quando abbiamo tutti l'impressione di vivere in pace mentre nel frattempo la terra ci frana sotto i piedi per l'aggressione della nostra avidità alle sue ricchezze e alle sue bellezze e mentre accompagnati da rigurgiti di nazionalismi xenofobi popoli interi si spostano da un parte all'altra del mondo in cerca di futuro, di speranza, di vita.
E bisogna parlarne quando nel silenzio quotidiano di una scandalosa normalità le Banche di tutto il mondo continuano a finanziarie l'enorme industria delle armi.
Io non so se ci saranno mai uomini e Governi che un giorno decideranno in modo saggio e lungimirante di non investire più soldi e finanziamenti nella produzione di armi e nel loro commercio, so però che possono non farlo con i miei soldi, con i nostri soldi.
Mettiamoci pure in marcia dunque contro la guerra e contro ogni guerra, facciamolo oggi e tutti i giorni e sempre; e mettiamo pure le bandiere ai nostri balconi per gridare a squarciagola la nostra sete di pace e facciamolo anche quando ci sembra di stare in pace. Facciamolo oggi e facciamolo anche domani.
Ma c'è qualcosa di ancora più sovversivo che possiamo e dobbiamo fare, che potevamo fare già ieri, ma non è mai troppo tardi per farlo: togliamo i nostri soldi da quelle Banche che da sempre li investono nel grande mercato bellico delle armi e portiamoli laddove si difende l'ambiente, la povera gente, la giustizia sociale, l'uguaglianza internazionale, laddove la finanza si coniuga con l'etica della vita e non con le regole della morte.
Le banche armate le conosciamo tutte, ad una ad una; l'elenco è lungo, è troppo lungo.
Aggiriamo tutti gli alibi personali che non ci hanno mai permesso di farlo, scommettiamo di più sulle ragioni di un mondo da sognare piuttosto che sulle ragioni delle nostre convenienze domestiche, diventiamo anche noi protagonisti di una nostra resistenza al sistema che uccide e scarta e urliamo a quelle Banche dove sono aperti i nostri conti: non con i miei soldi, non con i nostri soldi!
Perché la pace non è un annuncio, ma un percorso. E più che parlarne bisogna farla, e farla – questa si – con i miei soldi, con i nostri soldi.