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USC. Sanità lucana in emergenza: i sindaci del Vulture Alto Bradano chiedono interventi immediati |
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4/10/2025 |
|  La sanità lucana è in emergenza: liste d’attesa interminabili, servizi convenzionati in crisi, cittadini costretti a pagare o a curarsi fuori regione. I sindaci del Vulture Alto Bradano lanciano l’allarme e chiedono l’intervento del Prefetto per salvaguardare il diritto alla salute, primo presidio di coesione sociale. E' quando si legge nel comunicato stampa dell' Unione .Sanità Convenzionata a firma del presidente Michele Cataldi. Serve subito una legge regionale che regoli i rapporti tra pubblico e privato accreditato, - si legge - garantendo equità, trasparenza e accesso alle cure per tutti. Segue comunicato stampa Il diritto alla salute in Basilicata non può restare un principio sulla carta. Da mesi la situazione dei servizi sanitari convenzionati con il Servizio sanitario nazionale è precipitata: liste d’attesa sempre più lunghe, mobilità passiva alle stelle, pazienti costretti a pagare privatamente prestazioni che dovrebbero essere garantite dal sistema pubblico. La realtà, oggi, è che la libera scelta del cittadino è un diritto svuotato di contenuto: si può scegliere davvero solo se si ha la possibilità economica di pagare. Per tutti gli altri, l’alternativa è aspettare mesi – quando non anni – o affrontare viaggi fuori regione con costi e disagi pesantissimi. La Basilicata spende ogni anno decine di milioni di euro per cure acquistate in altre regioni: soldi che potrebbero essere investiti qui, rafforzando i servizi locali, creando lavoro e tutelando le comunità. Di fronte a questa situazione, i sindaci del Vulture Alto Bradano hanno lanciato un allarme senza precedenti. Nei loro comuni i servizi stanno progressivamente scomparendo, e con essi la possibilità stessa di garantire una vita dignitosa alle famiglie. Senza sanità, i territori diventano sempre più fragili e disarmati di fronte al fenomeno dello spopolamento. Per questo i primi cittadini hanno chiesto con forza l’intervento del Prefetto, sottolineando che la sanità è il primo presidio di coesione sociale: quando viene meno, la comunità si svuota. È importante ribadire che il problema non è ideologico: non si tratta di pubblico contro privato, o viceversa. Al contrario, tutti i presidi di sanità devono essere rafforzati, a partire dall’ospedale di Melfi, da quello di Venosa e dalle strutture ospedaliere e territoriali, fino alle strutture accreditate che da decenni integrano l’offerta pubblica. Pubblico e privato accreditato devono lavorare insieme, lottando e collaborando in un sistema unico al servizio del cittadino. Il nodo non è la contrapposizione, ma le scelte regionali che spesso non intervengono o intervengono male, lasciando irrisolti i problemi che si trasformano in vere emergenze per la sopravvivenza stessa dei servizi. La soluzione non può essere affidata a provvedimenti tampone o a promesse che non trovano mai riscontro. Occorre una legge regionale chiara e definitiva, che metta ordine ai rapporti tra Regione e strutture accreditate, oggi regolati solo dall’arbitrio estemporaneo e spesso senza criteri trasparenti. Una norma capace di recepire finalmente quanto già previsto dall’art. 8-quinquies del D.Lgs. 502/1992, stabilendo regole oggettive per i contratti con le strutture, volumi programmati e tariffe certe che consentano ai cittadini di accedere ai servizi senza discriminazioni, standard di qualità verificabili e controlli seri sulle prestazioni, meccanismi di riequilibrio quando la domanda supera l’offerta per evitare blocchi e attese interminabili. Questa richiesta non arriva soltanto dalle strutture e dai lavoratori del settore, che pure vivono in una condizione di grande precarietà, ma nasce dai cittadini stessi. Nei mesi scorsi è stata consegnata una petizione popolare ai sensi dell’art. 14 dello Statuto regionale, che punta a coinvolgere direttamente il Consiglio regionale chiedendo un impegno legislativo non più rinviabile. Non è una rivendicazione di parte, ma un atto di responsabilità verso i cittadini. Le famiglie lucane non possono essere lasciate sole davanti a un sistema che, senza regole certe, rischia di collassare. La sanità è un presidio di giustizia sociale: significa garantire a tutti la possibilità di curarsi in tempi ragionevoli, sul proprio territorio, senza dover pagare o emigrare. “Non è una battaglia di categoria – ribadiscono i promotori – ma una battaglia di civiltà. I pazienti non possono più essere lasciati soli, costretti a scegliere tra il pagare e il rinunciare alle cure. La Regione deve garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla malattia, e per farlo occorrono regole certe, non provvedimenti occasionali. Non ci interessa la contrapposizione, ma la collaborazione: pubblico e privato insieme per difendere il diritto alla salute”. Il messaggio che arriva dal territorio è netto: la Basilicata ha bisogno di certezza del diritto, di una sanità accessibile a tutti e di istituzioni che sappiano assumersi la responsabilità delle scelte. Non è più tempo di rinvii: il Consiglio regionale deve approvare subito una legge che ridia fiducia ai cittadini, tuteli i lavoratori e salvi i territori dalla spoliazione. Senza questo, il rischio è che si resti solo con ospedali indeboliti, servizi dimezzati e comunità sempre più fragili.
-- Presidente U.S.C. - Michele Cataldi |
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Non con i miei soldi. Non con i nostri soldidi don Marcello CozziParlare di pace in tempi di guerra è necessario, ma è tardi.
Non bisogna aspettare una guerra per parlarne. Bisogna farlo prima.
Bisogna farlo quando nessuno parla delle tante guerre dimenticate dall'Africa al Medio Oriente, quando si costruiscono mondi e società sulle logiche tiranniche di un mercato che scarta popoli interi dalla tavola dello sviluppo imbandita solo per pochi frammenti di umanità; bisogna farlo quando la “frusta del denaro”, come ...-->continua
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