Comincia a muoversi qualcosa anche a livello nazionale sul caso della morte di Luca Ventre, il 35enne italiano (di madre lucana, senisese) morto lo scorso 1 gennaio in circostanze a dir poco strane nell’ambasciata italiana a Montevideo. Già lo scorso 9 gennaio il fratello Fabrizio ci aveva spiegato quello che era accaduto, avvalorato anche dalle immagini della telecamera di sicurezza che oggi vi mostriamo. ‘’Luca entra alle 7 del mattino ora locale nell’ambasciata italiana. Suona ma non apre nessuno e così scavalca il cancello. Apprendiamo, successivamente, che era lì perché aveva paura, qualcuno forse lo inseguiva, si sentiva minacciato. Ci aveva accennato qualcosa nella sua ultima telefonata a fine dicembre ma, dal tono di voce, sinceramente, ci sembrava che tutto fosse sotto controllo. La mattina del 1 gennaio si reca in ambasciata per cercare protezione. Aveva con sé dei documenti. Nessuno gli dà udienza, lui sta per andarsene, cerca di scavalcare il cancello per uscire e un poliziotto lo raggiunge e lo tira giù. Secondo quanto dichiarato dalla polizia locale lui era agitato, si è rivoltato contro l’agente che, assieme ad un collega, lo ha bloccato fisicamente fino a che poi non lo hanno portato al pronto soccorso dove, sempre a causa dell’eccessiva agitazione di Luca, gli sarebbe stato iniettato un calmante che, invece, ne avrebbe causato l’arresto cardiaco’’.
Questa la prima versione ufficiale. Il padre di Luca viene a sapere che il figlio è ferito e in ospedale dopo circa 7 ore dall’accaduto. Ma non è né l’ambasciata, né la polizia a comunicarglielo: è una telefonata anonima partita da una scheda che risulta inattiva subito dopo.
Quando il padre arriva in ospedale Luca non è ferito ma è morto. Secondo un medico con cui la famiglia ha parlato alle 8.00, quando c’è il cambio turno in ospedale, al suo arrivo in reparto Luca era già morto. Ora si attende l’esito dell’autopsia.
Ma, ripetiamo, sono le immagini della videocamera e gli orari della stessa a parlare.
Alle 7.08 Luca è a terra, la cartella con i documenti è pochi centimetri più in là, due persone lo tengono fermo, un poliziotto e un’ altra persona, che ha visibilmente in mano un’arma e parla al telefono.

Quest’ultimo, pochi secondi dopo, apre la cartella che contiene i documenti di Luca, mentre lui è ancora a terra. Resta lì, con la faccia a terra e un poliziotto su di lui. Nei secondi successivi arriverà anche l’altra persona.
Alle 7.33 si apre il cancello. Luca è sempre a terra, sembra non muoversi.
Alle 7.44 viene trasportato fuori a peso morto.

‘’La polizia dice che è arrivato in ospedale alle 7.47- continua Fabrizio- per un percorso che, anche andando veloci, necessita almeno di 7 o 10 minuti di tempo’’.
“Quando la polizia ha detto che Luca era eccessivamente agitato abbiamo cominciato a capire che qualcosa non tornava. E sono i fotogrammi della telecamera a dirlo- continua Fabrizio- perché si vedeva che mio fratello non stava opponendo resistenza e che, soprattutto, non ha attraversato quel cancello con le sue gambe’’.
Come ci eravamo chiesti nel primo articolo del nove gennaio, sono molti i punti oscuri su questa vicenda. E sono tutti punti interrogativi.
Luca è morto in ospedale, come ha detto la polizia? Perché il medico dice alla famiglia che Luca era già morto nel suo cambio turno, alle 8? E se dai video si vede benissimo che aveva perso i sensi già all’interno dell’ambasciata, perché la polizia ha detto che si era eccessivamente agitato?
Perché nessuno ha comunicato ufficialmente alla famiglia che Luca era stato trasportato in ospedale?
Da chi stava scappando Luca? Perché, alle 7 del mattino del 1 gennaio, si è catapultato in ambasciata per chiedere aiuto?
Mariapaola Vergallito