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''Vogliamo la verità su Luca, morto nell'ambasciata italiana in Uruguay'

9/01/2021



Aveva 35 anni, un lavoro come agente immobiliare assieme a suo padre (lavoro che lo aveva portato in giro per il mondo), una compagna e una figlia piccola; e un ponte con l’Italia che non aveva mai interrotto. Luca Ventre, lucano d’origine da parte di madre, di Senise, terra nella quale era solito tornare con i suoi 4 fratelli fin da piccoli, è morto nel Paese da cui si era fatto adottare, in Uruguay. Morto il 1 gennaio in circostanze che la famiglia ritiene assurde, all’interno dell’ambasciata italiana a Montevideo, dopo essere stato fermato da due poliziotti. Quelli che presumibilmente sono gli ultimi istanti di vita di Luca sono tutti immortalati nei fotogrammi dei video della telecamera di sorveglianza. Fotogrammi che i familiari di Luca hanno già visionato e di cui sono in possesso.  Sua madre, Palma Roseti, ora chiede di conoscere la verità e chiede che venga fatta giustizia. E così tutta la famiglia. La raggiungiamo telefonicamente. Lei, che abita in Veneto,  non è nemmeno riuscita a raggiungere l’Uruguay. La sua voce trasmette determinatezza perché ‘’ci batteremo- dice- fino a quando non verrà fuori la verità’’. Ma cosa è accaduto? Ce lo spiega il fratello Fabrizio. ‘’Luca entra alle 7 del mattino ora locale nell’ambasciata italiana. Suona ma non apre nessuno e così scavalca il cancello. Apprendiamo, successivamente, che era lì perché aveva paura, qualcuno forse lo inseguiva, si sentiva minacciato. Ci aveva accennato qualcosa nella sua ultima telefonata a fine dicembre ma, dal tono di voce, sinceramente, ci sembrava che tutto fosse sotto controllo. La mattina del 1 gennaio si reca in ambasciata per cercare protezione. Aveva con sé dei documenti. Nessuno gli dà udienza, lui sta per andarsene, cerca di scavalcare il cancello per uscire e un poliziotto lo raggiunge e lo tira giù. Secondo quanto dichiarato dalla polizia locale lui era agitato, si è  rivoltato contro l’agente che, assieme ad un collega, lo ha bloccato fisicamente fino a che poi non lo hanno portato al pronto soccorso dove, sempre a causa dell’eccessiva agitazione di Luca, gli sarebbe stato iniettato un calmante che, invece, ne avrebbe causato l’arresto cardiaco’’.


Questa la prima versione ufficiale. Il padre di Luca viene a sapere che il figlio è ferito e in ospedale dopo circa 7 ore dall’accaduto. Ma non è né l’ambasciata, né la polizia a comunicarglielo: è una telefonata anonima partita da una scheda che risulta inattiva subito dopo.


Quando il padre arriva in ospedale Luca non è ferito ma è morto. Secondo un medico con cui la famiglia ha parlato alle 8.00, quando c’è il cambio turno in ospedale, al suo arrivo in reparto Luca era già morto. Ora si attende l’esito dell’autopsia.


Ma, ripetiamo, sono le immagini della videocamera e gli orari della stessa a parlare.


Alle 7.08 Luca è a terra, la cartella con i documenti è pochi centimetri più in là, due persone lo tengono fermo, un poliziotto e un’ altra persona, che ha visibilmente in mano un’arma e parla al telefono.


Quest’ultimo, pochi secondi dopo, apre la cartella che contiene i documenti di Luca, mentre lui è ancora a terra.  Resta lì, con la faccia a terra e un poliziotto su di lui.  Nei secondi successivi arriverà anche l’altra persona.


Alle 7.33 si apre il cancello. Luca è sempre a terra, sembra non muoversi.


Alle 7.44 viene trasportato fuori a peso morto.


‘’La polizia dice che è arrivato in ospedale alle 7.47- continua Fabrizio- per un percorso che, anche andando veloci, necessita almeno di 7 o 10 minuti di tempo’’.


 “Quando la polizia ha detto che Luca era eccessivamente agitato abbiamo cominciato a capire che qualcosa non tornava. E sono i fotogrammi della telecamera a dirlo- continua Fabrizio- perché si vedeva che mio fratello non stava opponendo resistenza e che, soprattutto, non ha attraversato quel cancello con le sue gambe’’.


Ci sono molti punti oscuri su questa vicenda. E sono tutti punti interrogativi.


Luca è morto in ospedale, come ha detto la polizia? Perché il medico dice alla famiglia che Luca era già morto nel suo cambio turno, alle 8? E se dai video si vede benissimo che aveva perso i sensi già all’interno dell’ambasciata, perché la polizia ha detto che si era eccessivamente agitato?


Perché nessuno ha comunicato ufficialmente alla famiglia che Luca era stato trasportato in ospedale?


Da chi stava scappando Luca? Perché, alle 7 del mattino del 1 gennaio, si è catapultato in ambasciata per chiedere aiuto?


 Intanto dalla Basilicata è partita la richiesta di apertura di un fascicolo presso la Procura della Repubblica di Potenza, da parte dell’associazione Liberiamo la Basilicata di Giuseppe Di Bello.


Dall’Ambasciata è arrivata una missiva il giorno dopo l’accaduto.


 “L’Ambasciata d’Italia con rammarico conferma che ieri il Sig. Luca Ventre, connazionale residente nella nostra comunità, è deceduto dopo che nelle primissime ore della mattinata si è arrampicato per scavalcare il recinto dell’Ambasciata e si è poi diretto verso gli Uffici. Dopo l’arresto il connazionale è stato trasportato al Hospital de Clinicas dove purtroppo risulta sia successivamente deceduto.L’Ambasciata, in questo doloroso momento, si stringe alla famiglia del connazionale; in particolare al padre, Sig. Carmine Mario Ventre che vive in Uruguay e con cui è in contatto, oltre alla madre, Sig.ra Palma Roseti, cui assicura la massima vicinanza e il massimo impegno affinché le Autorità uruguaiane facciano piena luce sulle cause del tragico decesso del figlio.” 


Chiediamo alla madre una foto di Luca. Lei ce ne manda una nella quale il figlio è assieme alla compagna e alla loro bambina di pochi mesi. Sorride mentre le abbraccia. ‘’Ho mandato questa foto perché ben racconta le qualità di Luca e il suo sorriso’’ ci dice.


La battaglia della famiglia per chiedere che si faccia luce sulla vicenda è solo all’inizio.


Mariapaola Vergallito


 










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