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Liste d’attesa, USC e Polimedica all’AGCM: ''La DGR 473 danneggia i pazienti''

3/09/2025

La Regione Basilicata ha annunciato lo stanziamento di sei milioni di euro per ridurre le liste d’attesa, presentandolo come un passo verso la tutela del diritto alla salute. Tuttavia, dietro lo slogan si cela una contraddizione: con la DGR 473/2025 la stessa Giunta ha definito tetti di spesa basati quasi esclusivamente sulla spesa storica, ignorando i reali fabbisogni della popolazione. Una scelta che rischia di aggravare la situazione, limitando l’accesso alle prestazioni critiche. USC e Polimedica denunciano la distorsione e annunciano una segnalazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Segue comunicato stampa dell’USC.

In queste ore i cittadini lucani leggono sui giornali la notizia dello stanziamento di sei milioni di euro da parte della Regione Basilicata per ridurre le liste d’attesa. Ancora una volta un titolo rassicurante, che parla di “diritto alla salute per tutti”. Ma la realtà è ben diversa. Solo poche settimane fa, con la DGR 473/2025, la stessa Giunta regionale ha imposto un modello di riparto delle risorse che ha messo in difficoltà strutture e pazienti, fondando i tetti di spesa quasi interamente sulla spesa storica (cioè sul fatturato passato delle strutture) e non sui reali fabbisogni della popolazione.

Appare in tutta evidenza la contraddizione. Da un lato si proclamano misure straordinarie per recuperare prestazioni, dall’altro si approva una delibera che riduce le possibilità di accesso dei cittadini proprio alle prestazioni più critiche, allungando inevitabilmente i tempi di attesa. È la parabola di chi prima crea il problema e poi pretenderebbe il merito di risolverlo.

Non è la prima volta che accade. Anche lo scorso anno la Regione varò un provvedimento simile, destinando risorse all’abbattimento delle liste. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: quelle risorse non furono utilizzate, rimasero incagliate nella rete della burocrazia, e oggi vengono semplicemente riproposte, “aggiustate” con qualche euro in più. Funzionerà stavolta? Se l’impostazione resta la stessa, è difficile crederlo. Vale la famosa frase attribuita ad Einstein: non possiamo aspettarci risultati diversi se continuiamo a fare sempre le stesse cose.

L’errore è evidente. Se davvero si voleva ridurre le liste per le prestazioni critiche, bisognava partire col piede giusto: definire i tetti di spesa allocando le risorse in base ai fabbisogni reali della popolazione, come prescrive la legge e come la stessa Regione aveva stabilito con la DGR 389/2024. Solo dopo, se necessario, si sarebbe potuto intervenire con misure straordinarie, ma senza ribaltare le regole e senza ingabbiare tutto in procedure macchinose. Perché la burocrazia non guarisce. Al contrario, allunga le code e spegne la speranza. Il CUP regionale, sbandierato come strumento risolutivo, non crea nuove prestazioni: non basta cambiare un numero di telefono per accorciare le liste. E anzi, se non è ben organizzato e non funziona, si trasforma in una tortura per i pazienti, che spesso si vedono rimbalzati, senza risposte e senza soluzioni.

Le cause delle liste d’attesa sono note e misurabili. Circa un terzo deriva da problemi organizzativi evitabili, proprio nella fase del CUP: pazienti che non si presentano e non vengono sostituiti (i cosiddetti “no show”), prestazioni inappropriate accettate senza filtri e senza controlli. Il restante settanta per cento dipende da un binomio semplice e drammatico: mancato utilizzo dei fabbisogni e insufficienza della produzione. Finché le risorse verranno distribuite guardando al passato anziché a ciò che serve oggi, i cittadini saranno costretti ad aspettare. E un paziente che aspetta, in realtà, è una malattia che avanza. Le liste d’attesa non si abbattono con la propaganda, ma con regole giuste. E le regole giuste sono scritte nero su bianco nella legge: l’art. 8-quinquies del D.Lgs. 502/1992 impone che le risorse siano allocate in base ai fabbisogni, con criteri trasparenti, selettivi e non discriminatori, orientati a qualità e appropriatezza. Ignorare questi principi significa non solo produrre atti illegittimi, ma soprattutto alimentare un sistema che danneggia i cittadini.

«La Regione Basilicata ha scelto consapevolmente di ignorare i fabbisogni sanitari reali, piegando le scelte a logiche burocratiche e oscure – dichiara Michele Cataldi, presidente USC –. Questo non solo è illegittimo, ma è anche un modello che altera il mercato, sacrifica la libertà di scelta dei pazienti e penalizza l’intero territorio».

È per queste ragioni che l’USC e Polimedica hanno deciso di rivolgersi all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con una segnalazione formale ex art. 21-bis L. 287/1990. “La denuncia mette in luce come la DGR 473 non solo violi la normativa sanitaria, ma produca gravi distorsioni della concorrenza: cristallizza posizioni acquisite, ostacola i nuovi operatori, mortifica l’innovazione, premia le rendite di posizione e altera la libertà di scelta dei pazienti. È un vero e proprio “dirottamento coatto” della domanda sanitaria, come dimostra lo stesso comunicato dell’ASP Basilicata che invita i cittadini a rivolgersi non alla struttura che vogliono, ma a quelle con residua disponibilità di budget. È la negazione del diritto alla salute e del principio di concorrenza sancito dall’art. 106 TFUE.”

Oggi più che mai è necessario capovolgere la narrazione. Non basta dire che “i pazienti sono al centro”: con la DGR 473 i pazienti sono stati messi in coda. La sanità non può trasformarsi in un gioco di numeri: deve essere il luogo della cura, non una condanna alla malattia. Ecco perché diventa sempre più indispensabile revocare o modificare la DGR 473. Se l’assessore è in buona fede, non si chiuda a riccio di fronte alle critiche, non si indispettisca se adottiamo una difesa pubblica, orgogliosa del nostro lavoro e delle nostre competenze. Al contrario, apra un dialogo vero, in un lavoro di squadra siamo convinti che queste potrebbero essere molto utili.




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