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Anche una lucana nell’equipe che ha studiato la proteina per cercare una cura contro il Parkinson

19/06/2022



I risultati di una importante ricerca sul Parkinson sono stati presentati pochi giorni fa durante un congresso a Copenaghen, e dell’equipe che li ha resi possibili fa parte anche una giovane eccellenza lucana, la 25enne rotondese Angela Di Iacovo. Lo studio, che nasce dall’Università di Padova, è stato realizzato in collaborazione con il Laboratorio di Fisiologia cellulare e molecolare dell’Università dell’Insubria ed altri atenei italiani e stranieri, ed è stato pubblicato sulla prestigiosa e ambita rivista specializzata “Acta Neuropathologica”, tra quelle con gli indici più alti. La ricerca si concentra sul ruolo della proteina chinasi LRRK2, per bloccare la neurodegenerazione e per la diagnosi precoce del morbo e rappresenta un fondamentale passo in avanti nell’individuazione di una possibile cura. Segnatamente, degli studi elettrofisiologici alla base del lavoro - firmati da Laura Civiero e Ludovica Iovino dell’Università di Padova - si sono occupati, appunto, Angela Di Iacovo, del dottorato in Medicina sperimentale e traslazionale, insieme con le professoresse Cristina Roseti ed Elena Bossi, del laboratorio di Fisiologia cellulare e molecolare del Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita.

Dottoressa Di Iacovo, ci spieghi l’importanza della vostra ricerca?
Le malattie neurodegenerative creano molte difficoltà poiché, il loro progredire e l’associazione ai diversi fattori, non sono molto chiari. Per cui, per agire in modo corretto, non conoscendo bene le fasi e le loro successioni, è importante descrivere i meccanismi molecolari che ne sono alla base. Nel nostro caso ci stiamo concentrando proprio sul meccanismo di base, fondamentale poiché, a livello patologico, senza capire quale meccanismo molecolare venga alterato, non è possibile pensare ad alcun tipo di target farmacologico di natura terapeutico. Chiaramente la strada è ancora molto lunga ma, come in tutte le cose, per arrivare all’apice bisogna partire dal basso.

Qual è stato il tuo percorso di studi?
Ho completato la triennale in Biologia biomedica e la magistrale in Biotecnologie molecolari e industriali, entrambi i corsi all’Insubria di Varese. Dopo essermi laureata nel luglio del 2020, ho iniziato il dottorato nel novembre dello stesso anno ma sto lavorando a questo progetto già dal 2019, con una tesi di un anno.

Ritieni di aver trovato la tua strada?
La ricerca, soprattutto a livello universitario, mi piace tanto perché mi dà un po’ carta bianca, nel senso che mi consente di spaziare e mettere in pratica ciò che mi viene in mente. Man mano ti fai forza sui risultati che ottieni, anche i più piccoli, e quindi ti crei una tua storia. Parliamo di qualcosa di profondamente diverso dal porsi un solo obiettivo come accade, ad esempio, nell’industria. Nella ricerca, invece, gli obiettivi sono tanti ed ogni piccolo step può essere ritenuto uno di questi. Trovo tutto questo molto stimolante e, per ora, sono davvero molto felice per quello che faccio.

Rimarrai in Italia o dobbiamo temere che il tuo destino sia simile a quello di tanti ricercatori, costretti a “fuggire” all’estero?
Un’esperienza all’estero sarebbe certamente formativa: arricchisce il curriculum e, magari, consente di conoscere tecnologie che non troviamo in Italia. Ciò premesso, sono convinta che non si debba fuggire per forza. Tuttavia, bisogna tenere presente che la nostra non è solo una passione ma anche un lavoro, ecco perché spero si riescano a valorizzare le tante risorse di cui disponiamo nel nostro territorio.


Gianfranco Aurilio
Lasiritide.it




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