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Terre del petrolio: «Ormai il nostro terreno è rovinato

21/01/2009



A pochi metri dal cuore delle estrazioni petrolifere in Val d’Agri, c’è una piccola costruzione in mattoni a vista, come ce ne sono tante lì intorno e, del resto, come ce ne erano ancora di più numerose fino a qualche anno fa. All’interno un giaciglio semplice in un’unica stanza; da quel punto, quando la porta resta aperta, il signor Pietro, settantacinquenne di Viggiano, vede tre cose: un piccolo tavolo di legno, appoggiato alla rete che separa il confine del suo terreno da quello adiacente; oltre quella rete c’è, ben visibile, la torre con la fiamma del Centro Oli. Della sua presenza te ne accorgi anche dall’odore. La moglie di Pietro è accanto al tavolo di legno sul quale è poggiata la lattuga appena raccolta. Sta dividendo le foglie buone da quelle cattive, spiega. “Anche se- dice Pietro- da quando c’è il petrolio non vengono più fuori le insalate di una volta”. “E il grande problema- spiega- è che non possiamo neanche lasciare questo terreno, perché o nessuno lo vuole oppure, nel migliore dei casi, saremmo costretti a venderlo ad un prezzo troppo basso”.
A pochi metri dal terreno di Pietro, a ridosso della strada che porta in paese, due donne raccolgono i pomodori. Danno l’impressione di voler liquidare in fretta le domande sul Centro Oli e dicono che “l’odore si sente solo certe volte, non sempre”. Poi continuano con il loro lavoro.
Finora per chi è proprietario dei terreni che circondano il Centro Oli di Viggiano non è contemplata nessuna forma di risarcimento. Non che non ce ne sia bisogno, visto che qualche mese fa il Comune di Viggiano, nell’ambito del Programma Operativo Val d’Agri e quindi con l’autorizzazione della Regione Basilicata, aveva anche cominciato ad effettuare una sorta di censimento nelle zone rurali. “Una mappatura- spiega Filippo Massaro, presidente del Comitato per lo Sviluppo delle Aree Interne Lucane e da sempre promotore di battaglie contro i danni provocati dal petrolio- che nei fatti non ha portato a nessun risarcimento. Anzi, il censimento, se così lo si può chiamare, è stato fatto a macchia di leopardo, in alcune zone si e in altre no. E intanto l’agricoltura continua a morire”. In particolare il Comune di Viggiano ha fatto richiesta all’Eni per ottenere un risarcimento per i terreni censiti. Ancora: un accordo tra l’Eni e la Regione Basilicata che risale al 1998 avrebbe dovuto destinare 10 miliardi di lire per la realizzazione di un impianto di monitoraggio e, in seguito, 6 miliardi di lire all’anno, per 15 anni, per un più accurato sistema di sorveglianza.
Ma non c’è solo l’odore ad evidenziare la presenza del petrolio a ridosso del Centro Oli; non c’è soltanto la patina olivastra o l’anticipata fioritura di alcune colture a dimostrare se le estrazioni hanno cambiato o no l’agricoltura in Val d’Agri. C’è anche un danno invisibile. “Perché- spiega Giovanna Perruolo, presidente Cia Val d’Agri- forse era meglio quando nessuno associava il petrolio alla nostra terra, quando la Basilicata era ancora sconosciuta in questo senso”. Sono circa 100 le aziende che coltivano fagioli Igp di Sarconi associate alla Cia. Gli ultimi dati dicono che quasi la metà di queste aziende quest’anno non ha piantato il prodotto. Alla base della crisi c’è l’andamento del mercato e problemi più generali. E la percezione negativa di un prodotto coltivato nella terra del petrolio; ma questo non si può dimostrare.


Mariapaola Vergallito

PETROLIO: TRA TUMORI E MORIA DI BESTIAME
Spuntano dal recente passato inquietanti retroscena, storie, testimonianze su vicende «insabbiate», su questioni ambientali legate alle estrazioni petrolifere. Dalle pieghe del dossier del pm Woodcock relativo all’inchiesta degli appalti Total in Basilicata emerge la denuncia di un uomo di Corleto Perticara (si veda scheda al lato) che parla di pecore morte e di casi di tumori a ridosso dei pozzi petroliferi. «Circostanze inquietanti che delineano una certa disinvoltura nello svolgimento delle vicende petrolifere»: le definisce così il gip Pavese riferendosi alle dichiarazioni di un testimone dell’inchiesta che ricorda non solo la morìa di capi di allevamento nella zona di Tempa Rossa, ma anche la morte per cancro di quattro allevatori. Il testimone racconta come tra il 1989 e il 1990 , mentre erano in corso i lavori di perforazione del pozzo da parte della società Lesmo, «i fanghi di perforazione venivano lasciati a cielo aperto in delle vasche, recintate con filo spinato». Alcune capre riuscirono ad introdursi nella zona e dopo qualche giorno cominciarono ad accusare forti dolori. Un prologo del decesso.

La relazione tra presenza di rifiuti petroliferi e la morìa di pecore è tutta da stabilire, ma certe coincidenze appaiono inequivocabili. Ecco perché dalla Valle del Sauro e dalla Val d’Agri continua a riecheggiare l’allarme lanciato dagli ambientalisti che chiedono controlli più serrati sul fronte dell’inquinamento. Non sembrano tranquillizzare l’opinione pubblica neppure i risultati - definiti «nella norma» - degli inquinanti rilevati dalle centraline di Metapontum Agrobios, di cui una fissa installata nell’area industriale di Viggiano e una mobile che misura periodicamente i livelli di concentrazione di monossido di carbonio, biossido di zolfo, biossido di azoto e ozono nei centri del comprensorio petrolifero (Val d’Agri e Tempa Rossa).
Il monitoraggio (gli ultimi dati disponibili riguardano l’estate del 2008) hanno evidenziato una quasi costante normalità ad eccezione di picchi episodici nella concentrazione di biossido di azoto che è risultato maggiore di 250 microgrammi per metro cubo di aria analizzata nei pressi di Gorgoglione a giugno 2008 (il valore oltre il quale ci sono rischi per la salute umana è di 350 microgrammi per metro cubo).
Per quanto riguarda la centralina fissa - fanno sapere da Metapontum Agrobios - l’elaborazione dei dati è cominciata a giugno 2007 con frequenza giornaliera e non ha mai registrato anomalie di particolare rilievo. Ma le concentrazioni di «veleni » nell’aria, pur non superando i limiti imposti dalla legge, sono tali da generare preoccupazioni soprattutto in relazione all’impatto su animali e piante. A tal proposito sono state piazzate 14 centraline di biomonitoraggio (sono circa una cinquantina) in Val d’Agri e nella Valle del Camastra per studiare le variazioni ecologiche indotte dall’inquinamento. Variazioni che si manifestano su tre differenti livelli: accumulo delle sostanze inquinanti negli organismi, modificazioni morfologiche e cambiamento della composizione della comunità animale e vegetale. Anche in questo caso i risultati escludono «alterazioni» di rilievo. Insomma, lo studio di Metapontum Agrobios esclude un impatto «violento» del petrolio sull’eco-sistema. Sarà. Delle due l’una: o gli allarmisti sono dei visionari o ci sono situazioni che sfuggono ai controlli.


Massimo Brancati



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