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Lettera a Gerardo Schettino dopo l’ennesimo scacco al suo clan

5/03/2020



Erano tutti carabinieri.
Antonio Cezza, era un brigadiere, originario di Cursi, in provincia di Lecce, aveva appena 26 anni quando la sera del 18 luglio 1990 viene barbaramente ucciso con un colpo di fucile nella villa comunale di Melfi dove era arrivata con una pattuglia per la segnalazione di una rissa.
Carabinieri semplici erano invece Claudio Pezzuto, anche lui pugliese, poco meno di trent’anni, e Fortunato Arena, siciliano, che di anni invece ne aveva appena 23 quando il 12 febbraio 1992 in un posti di blocco a Faiano di Pontecagnano vengono uccisi a sangue freddo in un conflitto a fuoco con due latitanti affiliati ad un clan mafioso.
E carabiniere semplice era anche Filippo Salvi, anche lui siciliano: aveva 36 anni quando il 12
luglio 2007 morì precipitando in un burrone ad Aspra in provincia di Palermo, mentre percorreva un sentiero insieme ad altri colleghi per installare sistemi di osservazione alla ricerca degli affiliati delle cosche mafiose di Bagheria.
Molto più conosciuto era invece Carlo Alberto Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo ma carabiniere per sempre, quando il 3 settembre 1982 viene ucciso insieme a Emanuela Setti Carraro dai sicari di Cosa Nostra e forse anche da quei poteri invisibili ai quali creava troppi problemi.
Ma è lungo, è troppo lungo l’elenco degli uomini in divisa e dei carabinieri in particolare che ci hanno rimesso la vita nella lotta al malaffare e alle mafie. Ci vorrebbero chissà quanti libri per raccontare i loro sacrifici, le notti insonni, la passione per il loro lavoro, e poi le vite private e quelle famiglie e quei figli lasciati a casa chissà quante volte ad attenderli, e poi, purtroppo, lasciati per sempre.
Ecco perché mi viene difficile, e non senza un moto di fastidio, ascoltare che c’è un gruppo criminale in Basilicata che da anni fa riferimento a lei, Gerardo Schettino, e sentire nello stesso tempo aggiungere “ex carabiniere”, come è accaduto ancora una volta in queste ultime ore.
Non mi permetto di entrare nella sua coscienza, ognuno nella vita fa le proprie scelte e se ne assume le responsabilità, anche se non le nascondo che resto nella convinzione che nessuno è ex di qualcosa quando quel qualcosa l’ha fatto con passione e dedizione …
Mi permetto solo di suggerirle, allora, durante quelle ore interminabili che deve e dovrà ancora passare dietro le sbarre, di prendere fra le mani uno dei tanti libri scritti sui tanti, e purtroppo tantissimi, carabinieri che hanno dato la vita per restituirci un Paese libero e democratico, e leggere delle loro storie, dei loro sacrifici ma anche dell’orgoglio a indossare quella divisa che per loro, ma anche per noi, rappresenta giustizia, legalità, rispetto dei diritti, umanità.
Mi auguro, e le auguro, che la narrazione del loro sangue possa, goccia dopo goccia, scorrerle nelle vene, toccarle la parte più segreta della coscienza e aiutarla a guardarsi dentro.
Le assicuro, potrà averne solo benefici”.

don Marcello Cozzi
Libera nazionale




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