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Don Marcello Cozzi su sentenza Jena 2

12/02/2019



Il primo pensiero è andato ad un pranzo in un ristorante di Potenza. Ai commensali, ai loro nomi, ai loro legami: dagli Albano-La Malfa ai Pesce, dagli Alvaro-Violi ai Macrì.
Tutti calabresi: di san Ferdinando e Rosarno, di Sinopoli e Delianova, di San Procopio e Finitimi. Luoghi e nomi che da quelle parti la chiamano ‘ndrangheta.
Ma un pranzo insieme ad alcuni imprenditori, e ad amici potentini alcuni dei quali mafiosi con sentenza definitiva, non si nega a nessuno.
Un pranzo è solo un pranzo e se magari si parla di affari, sono solo affari. E se ci si rivolge ad amici, e ad amici di amici, per ottenere appalti oppure corsie preferenziali per entrare in certi ambienti, è solo per un senso di amicizia e di favori. E se qualcuno afferma che una determinata impresa “è roba nostra e fa quello che gli diciamo noi” è solo spavalderia.
La mafia è un’altra cosa. La mafia uccide e mette bombe.
Non abbiamo letto la sentenza del processo Iena 2. Ne prendiamo atto, e non vogliamo neanche la mafia a tutti i costi.
Chissà, forse fra qualche anno qualcuno ci verrà a dire che anche quella che ha messo a soqquadro il metapontino negli ultimi tempi non era mafia ma solo quattro delinquenti, che al limite estorcevano e incendiavano. Tutto qui.
Ma niente sangue, e se non c’è sangue non c’è mafia.
Il nostro pensiero va al lavoro instancabile di magistratura e forze dell’ordine, e anche a chi anni fa diceva che per contrastare la mafia non ci vuole l’esercito ma solo
un esercito di insegnanti: è una questione culturale cioè. Questa ci sembra la sfida. E soprattutto in Basilicata.

don Marcello Cozzi




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