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La voce della Politica

Bolognetti: su tutela ambientale, l’Italia è uno stato canaglia

8/07/2011

Di Maurizio Bolognetti, Direzione Nazionale Radicali Italiani

Diciamocelo: sul fronte della tutela ambientale, l’Italia è uno stato canaglia. Non solo recepiamo con disarmante e puntuale ritardo tutte le direttive emanate dall’Unione Europea, ma anche quando le recepiamo quelle direttive restano lettera morta, meri suggerimenti. E così succede che soltanto nell’ultimo decennio siamo stati ripetutamente condannati e messi all’indice sul fronte della tutela delle acque, della gestione dei rifiuti, dell’impatto inquinante delle attività industriali. A spulciare l’elenco delle bacchettate inferteci dall’Europa verrebbe da piangere. Prendiamo la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, che ha il suo emblema nella cronica “emergenza” partenopea. Ebbene, il 27 maggio di quest’anno, il caos delle discariche, che non è un’esclusiva solo campana, è stato pesantemente condannato dall’UE, che in pratica ci ha detto che le nostre autorità non sono in grado di applicare correttamente le norme scritte da Bruxelles sulla gestione dei rifiuti. Esagera l’Unione? Macché, molte regioni del bel paese sono lontanissime dal raggiungere le percentuali di differenziata già previste dal decreto Ronchi del 1997. E mentre il bel paese continua a dibattersi tra percolati, monnezza che invade le strade, discariche che inquinano, la Commissione Europea nel 2005 affermava l’esigenza di “una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti”.

Di certo le cose non migliorano se parliamo di qualità delle acque. Nel novembre del 2010, l’Unione Europea blocca l’ennesimo tentativo italiota di rimandare l’applicazione dei limiti di arsenico contenuti nell’acqua di rubinetto. Quei pazzi della Commissione Europea sostengono che l’arsenico può favorire l’insorgenza di tumori e che quindi sarebbe il caso di ridurne la presenza nell’acqua che sgorga dai rubinetti di ben 128 città italiane. Un duro colpo per un paese che a suo tempo pensò di risolvere il problema dell’atrazina elevando i limiti di tolleranza della stessa. Passando dalle acque potabili al trattamento delle acque reflue le cose non vanno certo meglio. Le acque reflue non trattate rappresentano un concreto rischio per la salute umana. Il 19 maggio di quest’anno, la Commissione Europea ci ha fatto sapere che ben 143 città italiane, con una popolazione superiore ai 10mila abitanti, non hanno un impianto fognario adeguato, e così siamo finiti ancora una volta davanti alla Corte di Giustizia Europea per la violazione della normativa UE sul trattamento delle acque reflue. Poca cosa se pensiamo che il 30 per cento degli Italiani non gode di un sistema di depurazione e che ci sono fogne che scaricano a cielo aperto, con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare in termini di inquinamento.

Dulcis in fundo la condanna inflittaci dalla Corte Europea il 31 marzo di quest’anno per la violazione della Direttiva 2008/1/Ce, nota anche come direttiva Ipcc, che impone il rilascio di una autorizzazione per tutte le attività industriali e agricole che presentano un notevole impatto inquinante. La direttiva è stata recepita dal nostro ordinamento con il consueto ritardo e naturalmente è stata totalmente disattesa. Nessuna prevenzione e nessuna riduzione integrata dell’inquinamento(per informazioni chiedere ai tarantini). Basti citare un dato: al 30 ottobre del 2009, su 5669 impianti industriali in esercizio ben 1204 erano privi di autorizzazione integrata ambientale. Tra le regioni che hanno fatto guadagnare l’ennesima condanna al nostro paese troviamo anche la Basilicata, dove da 10 anni il famigerato inceneritore Fenice di proprietà della Edf opera senza AIA(autorizzazione integrata ambietale) e in regime di autorizzazione provvisoria.
La verità è che siamo il paese dei furbi, il paese del “fatta la legge trovato l’inganno”. Ne volete la prova? Con il D.LGS 59/2005(integrato nel titolo III bis del D.LGS 152/2006) recepiamo la direttiva 96/61/Ce sulla “prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento”, successivamente sostituita dalla citata 2008/1/Ce. Il D.Lgs 59/2005 stabiliva, all’art. 5 comma 18, che l’AIA dovesse essere rilasciata entro il 30 ottobre 2007. Come da italico costume, allo scadere del termine perentorio viene varata una proroga attraverso il D.L. n.180(30/10/2007), rimandando l’obbligo al 31 marzo 2008. Il termine perentorio, però, è solo apparente, in quanto lo scaltro legislatore inserisce nel Decreto Legge 180 un piccolo articoletto che recita: “Nelle more del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale di cui al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, gli impianti già in esercizio, per i quali sia stata presentata nei termini previsti la relativa domanda, possono proseguire la propria attività.”
E così di “more” in “more”, impianti che hanno un devastante impatto sull’ambiente e la salute umana hanno potuto continuare ad operare senza AIA e in barba alle direttive UE.
C’è da stupirsi che l’Italia sia da anni condannata dalla Corte di Giustizia Europea? La verità è che in materia di ambiente(e non solo) siamo la cenerentola dell’occidente industrializzato, siamo uno Stato Canaglia, dove spesso ai controlli si sostituisce il conflitto d’interesse e dove la gente crepa in silenzio, vittima di veleni legalizzati o non monitorati. Anche questo è, ahinoi, un capitolo della “Peste italiana”.




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