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Amatucci: 'il tema dell’autonomia differenziata attiene alla civiltà, anche giuridica, del paese'

23/08/2023

Il tema dell’autonomia differenziata è un tema che investe non solo problemi di garanzia dei diritti di ogni cittadino, ma un tema che attiene alla civiltà, anche giuridica, del paese.
Da quando il Ministro Calderoli ha presentato il suo disegno di legge dettante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a Statuto ordinario”, questo tema è diventato centrale nel dibattito politico e culturale del paese, coinvolgendo in esame e riflessioni uomini e partiti politici, giuristi costituzionalisti, ex Presidenti della Corte Costituzionale, il Presidente della Repubblica, uomini di cultura e non, ognuno dei quali ha espresso le proprie tesi, rappresentando le ragioni della condivisione o contrarietà all’ipotesi di approvazione del disegno di legge da parte del Parlamento.
Colpisce, preliminarmente, come un provvedimento pur importante, ma sicuramente divisivo, in un momento cruciale della vita sociale ed economica del paese, che dovrebbe finalizzare la sua ripresa a superare i gap territoriali tra nord e sud, sia oggetto di una richiesta di approvazione quasi ultimativa da parte di certe forze politiche e come il richiamo del Presidente della Repubblica, invocato a Bergamo a novembre 2022, circa l’unità del paese e il perseguimento delle garanzie dei diritti costituzionali dei cittadini di ogni parte d’Italia sulla base dei principi costituzionali, sia oggetto di colposa disattenzione o scarsa attenzione.
Tuttavia, sul tema dell’autonomia differenziata, riterremmo opportuno e vorremmo svolgere una riflessione non ideologica, quasi scevra da posizioni politiche, che consenta di inquadrare il problema sia sotto il profilo giuridico, che sotto quello della opportunità, per offrire elementi di valutazione, che aiutino a comprendere l’importanza e le conseguenze della eventuale decisione finale di approvazione, che il Parlamento dovesse adottare.
Prima di addentrarci nel discorso sull’autonomia differenziata, è opportuno evidenziare che i trasferimenti statali a favore delle regioni e quindi dei comuni, avviene da circa un ventennio secondo il criterio della cosi detta spesa storica, ovvero della spesa consolidata e cristallizzata ad una certa data storica e non secondo la spesa standard, ovvero quella relativa all’attuale reale fabbisogno, affinchè i cittadini di una qualsiasi parte d’Italia, dal sud al nord, abbiano garantiti gli stessi servizi, per cui le regioni che durante questo ventennio , sulla base di tale criterio, hanno avuto maggiore trasferimenti, mantengono questo ingiusto privilegio, mentre le regioni del sud, la cui spesa storica si è attestata su livelli decisamente inferiori e non sono riuscite a garantire gli stessi servizi garantiti, in termini di qualità ed efficienza, ai cittadini del nord, non saranno in grado di assicurarli in futuro, creando una disparità di trattamento tra i cittadini delle diverse regioni del paese.
Perché i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) siano uniformi su tutto il territorio nazionale, è indispensabile che lo stato riequilibri i trasferimenti al sud con circa 65/70 miliardi di euro annui, considerato che sarebbe improponibile ( ad invarianza della spesa)una decurtazione dei trasferimenti al nord, dove il criterio dei trasferimenti su base storica è ormai consolidato ed oggettivamente non modificabile.
Nel 2001, con la Legge Costituzionale 18.10.2001 n. 3,attraverso la modifica della Costituzione, in particolare dell’art. 116, è stato previsto, al comma 3, che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’art. 117 e le materie indicate al secondo comma del medesimo articolo alla lettera l), limitatamente alla organizzazione della giustizia di pace ed alle lettere n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa delle Regioni interessate, sentiti gli Enti Locali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 119”.
In sostanza , tramite l’autonomia differenziata , oltre alla organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, già individuate quali materia di competenza esclusiva dello stato, potrebbero essere attribuite alle regioni che lo chiedessero tutte le materie di legislazione concorrente previste dal comma 3 dell’art. 117 della Costituzione.
Il paese sarebbe spaccato in due tronconi; le regioni che per un ventennio hanno usufruito, tramite i trasferimenti basati sul criterio della spesa storica di circa oltre 60 miliardi in più, potrebbero organizzare i servizi ai cittadini autonomamente sulla base dei maggiori trasferimenti assestati, mentre le regioni del sud, già penalizzate dai mancati trasferimenti, in gran parte monopolizzati dalle regioni del nord, non solo non avrebbero la possibilità di organizzare i servizi a favore dei propri cittadini secondo criterio di equiparazione e giustizia sociale per la insufficienza dei fondi,ma si vedrebbero penalizzate anche anche dal mancato trasferimento dei fondi del perequativo, alla cui costituzione le regioni del nord non vorrebbero concorrere con le loro risorse.
Un paese “diseguale” non solo per infrastrutture, sanità, istruzione, organizzazione dei servizi, ma addirittura impossibilitato a riequilibrare i gap oggi esistenti, in quanto il divario si accentuerebbe e diventerebbe incolmabile.
Appare ovvio, pertanto, sul piano della opportunità, che l’autonomia differenziata, senza la garanzia di uniformità dei LEP in ogni regione italiana va scongiurata , per cui ognuno dei governatori del sud dovrebbe valutare la posizione da assumere nella Conferenza Stato-Regioni sulla base di valutazioni finalizzate al riequilibrio dei gap oggi esistenti tra regioni del nord e regioni del sud, pena la ulteriore divaricazione sul piano non solo delle infrastrutturazione e delle ipotesi di sviluppo economico, ma soprattutto in relazione alle garanzie dei diritti costituzionali, che,invece, devono essere equamente garantiti ai cittadini di ogni parte d’Italia, come invocato dal Presidente Mattarella.
Sul piano giuridico, la cosa merita un approfondimento, che ci auguriamo di trasferire, pur nella complessità della rappresentazione.
Dal punto di vista formale, come detto, la Costituzione consente, dopo la Riforma del Titolo V del 2001 (voluta da un governo di centro-sinistra) che le Regioni possano chiedere l’attribuzione “di forme particolari di autonomia”, in ciò assimilando le Regioni a Statuto ordinario alle Regioni a Statuto speciale.
La richiesta di attribuzione e/o l’estensione di attribuzione, che possono riguardare le materie concorrenti, oltre quelle già previste dall’art. 116 è, pertanto, in linea di principio consentita e di per sé non incostituzionale (appunto perché consentita dalla Costituzione).
Il problema è che essa, però, “deve assicurare l’unità e la indivisibilità della Repubblica, dell’ordinamento territoriale, che la Costituzione afferma essere principio fondamentale, unitamente al riconoscimento ed alla promozione delle autonomie territoriali”.
Essa deve, inoltre, accertare che non vi siano violazioni nel garantire a tutti i cittadini, di qualsiasi parte del paese ed assicurare uguaglianza di fronte ai diritti costituzionali, che attraverso i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) devono assicurare equiparazione e giustizia sociale.
L’art. 119 prevede che le Regioni concorrano ad eliminare gli squilibri sociali ed economici attraverso la partecipazione al fondo perequativo da distribuire a favore delle regioni con minor gettito fiscale e la destinazione di risorse aggiuntive da parte dello Stato per interventi speciali. (6° comma- art. 119)
L’attribuzione di condizioni particolari di autonomia, non può essere slegata da un disegno generale di sviluppo e riequilibrio economico e territoriale, che rafforzi l’esercizio della sussidiarietà e consenta allo Stato di intervenire allorchè emerga un interesse nazionale.
Il disegno di legge di Calderoli, non sarebbe, di per sé, incostituzionale sul piano dei principi generali, ma determinerebbe condizioni e conseguenze che renderebbero gli effetti prodotti incostituzionali, perché in violazione dell’art. 119 della Costituzione.
Voler, poi, assumere il provvedimento ad invarianza finanziaria (art. 8) del Disegno di Legge Calderoli,
nella impossibilità di decurtare i trasferimenti assestati al nord, significa ancorare l’intera architettura al mantenimento del criterio della spesa storica, che è fortemente penalizzante per il Sud e non garantirebbe il finanziamento dei LEP sulla base dei costi e i fabbisogni standard uniformi in tutto il paese, come richiesto dalle forze di opposizione, ma anche da forze di governo, prima di tutte Forza Italia.
La strada non sarà breve, come vagheggia Calderoli, le dimissioni di Amato,Gallo, Pajno e Bassanini dalla Commissione dei Saggi è stato un segnale dirompente, che ha lanciato un campanello di allarme alla Presidente del Consiglio, ma non bisogna sottovalutare il problema, che ingenera confusione ed indebolisce l’immagine del nostro Paese in Europa, nel momento in cui il Sud sta assumendo sempre più la posizione di hub del Mediterraneo ed il suo PIL è superiore a quello di Germania e Francia.
Bisogna che tutti comprendano che la vera sfida è far crescere complessivamente ed unitariamente il paese e che l’Italia non cresce se non accomuna al Nord avanzato anche il Mezzogiorno d’Italia, che sta dando segnali di ripresa ed evidenzia l’ assunzione della consapevolezza del suo ruolo decisivo nella crescita della nazione.
Antonio Amatucci



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