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Piccoli comuni e politiche lungimirantii

16/06/2022

Pietro Gulmì, già primo cittadino di Cersosimo, interviene sulla crisi dei piccoli comuni nel nostro Paese
Vivere in un piccolo comune presenta più vantaggi o svantaggi?
Direi senza dubbio svantaggi. I piccoli Comuni, quelli con una popolazione inferiore ai cinquemila abitanti, hanno di fronte un futuro incerto e difficile. Incidenza di vecchiaia e spopolamento saltano subito agli occhi. Da un lato c’è la bassa natalità, dall’altro la mancanza di opportunità per nuove famiglie. Chi, per esempio, vive in un paese come Cersosimo fa i conti con l’assenza di servizi fondamentali come banche, sportello bancomat, trasporti, solamente due corse di autobus in tutta la giornata, mentre l’ufficio postale funziona al cinquanta per cento, per l’ospedale occorrono almeno quaranta minuti, le scuole poi non esistono più, senza tirare per la giacca le scarse probabilità di trovare un lavoro.
Si fa qualcosa o siamo ancora fermi agli studi e alle chiacchiere
Vari sindaci, di varie regioni italiane, hanno avuto il peso e la responsabilità di portare all’attenzione del Governo il problema dello spopolamento dei piccoli comuni, ma non si vedono ancora politiche in grado di dare risposte serie al problema. Si, la legge sulla montagna, poi, nel 2017, dopo un iter infinito che ha attraversato la bellezza di quattro legislature, fu approvata la cosiddetta legge salva-borghi, poi ancora l’esecutivo guidato da Mario Monti, che per rafforzare le disposizioni del decreto Salva-Italia istituì il Fondo di solidarietà comunale, chi aveva di meno riceveva la fetta di torta più grande. Ma a distanza di anni, il problema di fondo resta.
Se non si interviene con decisione?
Per rispondere a questa domanda si potrebbero mettere in fila dei numeri, che come al solito chiariscono più delle parole. Ad esempio, la Sardegna potrebbe perdere 31 dei suoi 377 municipi nei prossimi anni. Dal 1971 al 2021, mentre la popolazione italiana cresceva del 14%, quella dei piccoli comuni calava del 15%. Tra il 2012 e il 2020 sono state circa 85mila le persone che hanno cambiato residenza prendendo la strada della città.
Cosa fare per fermare questa pericolosa emorragia?
Penso alla Rete dei piccoli comuni, penso alle esperienze che si propongono dai tanti territori italiani, ma per invertire la rotta sono necessarie politiche lungimiranti dall’alto, di medio-lungo periodo. In questo senso l'ultimo DEF approvato non è confortante, dato che per mantenere l’impalcatura con quota 100 ( anche se si pensa a quota 41 per tutti entro fine 2022) e reddito di cittadinanza, il governo è pronto a tagliare, in quattro anni, più di 15 miliardi di euro. Servono politiche per la famiglia, per il lavoro, servizi, nuove tecnologie, risorse per le imprese, incentivare l’agricoltura, l’allevamento, la ricerca, i trasporti, le politiche sociali, la sanità.
Un quadro poco incoraggiante
Se ci impegniamo tutti si potrà fare molto. Servono impegno e collaborazione tra amministratori, cittadini, imprese, parti sociali, politica, finanza. Penso al Pnrr, penso a progetti come la costituzione del CER, a mio avviso un treno perso dalla" Val Sarmento". Mi spiego, le comunità energetiche, introdotte in Italia nel 2020 con il decreto Milleproroghe, guarda particolarmente ai piccoli comuni, il PNRR prevede ben 2,2 miliardi di euro per la costituzione delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER). Un salto in avanti nella sostenibilità ambientale, ma anche in termini di coesione comunitaria e pratiche innovative energetiche e sociali. Castelmezzano, per esempio, lo ha fatto.


Vincenzo Diego



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