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La voce della Politica

Intervento di Laghi su progetti contro i cambiamenti climatici

24/07/2019

Seduta del consiglio direttivo dell’ente Parco Nazionale del Pollino del 22 luglio 2019.
Intervento del Consigliere Ferdinando Laghi sul punto 2 dell’OdG:
“Bando Ministero dell’Ambiente relativo a “Proposte progettuali per la realizzazione di interventi finalizzati alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici da parte degli Enti parco nazionali di cui alla legge quadro 6 dicembre 1991, n.394 e s. m. e i.” – Atto di indirizzo.
Le 4 linee progettuali individuate e indicate dal Ministero riguardano:
Cambiamenti climatici, Efficientamento energetico, Mobilità sostenibile, Gestione Forestale Sostenibile.
Di seguito commenti e proposte su alcuni degli aspetti e dei progetti proposti.

TIPOLOGIA I - CAMBIAMENTI CLIMATICI
La scheda inviata riguardante tale Tipologia di intervento, sembra sia da considerare non più proponibile, per cui, di seguito si avanzano alcune considerazione d’ordine generale e delle specifiche proposte.
E’ ormai noto e comunemente accettato che i cambiamenti climatici, caratterizzato dai fenomeni estremi cui stiamo assistendo ormai anche nel nostro Paese, siano determinati, per larga parte, da attività antropiche, ed in particolare siano gli effetti di processi di combustione, a loro volta finalizzati alla produzione energetica, in un processo produttivo lineare che immette nell’ambiente, durante il suo svolgimento, sostanze tossiche, oltre a gas climalteranti (in primo luogo, per quantità prodotta, la CO2) e che, al termine del processo stesso, inevitabilmente produce scarti –le ceneri di fondo- che rappresentano, da un lato un problema per il loro smaltimento e, dall’altro, uno spreco dal punto di vista energetico.
Le ricadute su Ambiente e Salute – da considerare un inscindibile tutt’uno- sono drammatiche: ghiacciai polari che si sciolgono sempre più rapidamente –con progressivo aumento del livello degli oceani-, fenomeni “naturali” estremi (tifoni, uragani, precipitazioni torrenziali, inondazioni, siccità prolungate, ecc.) sempre più marcati e frequenti che si accompagnano ad un’aumentata incidenza di molte patologie e a cambiamenti nella distribuzione geografica delle stesse. Tutto ciò determina, e sempre più determinerà, conseguenze catastrofiche per l’intera razza umana.
I dati divulgati dai maggiori e più autorevoli organismi internazionali -l’IPCC, l’OMS, l’ONU- sono drammatici: la concentrazione di CO2 in atmosfera ha toccato valori mai raggiunti nella storia dell’umanità (414 ppm), il 91% della popolazione mondiale respira aria NON in linea con i parametri indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità; e questo determina 7 milioni di morti premature l’anno derivanti dal solo inquinamento atmosferico. Un altro dato da tenere in grande considerazione è il fatto che i danni alla salute vanno a colpire, in prevalenza, le fasce deboli delle popolazioni (bambini, anziani, malati cronici, poveri, ecc.)
Per tutti questi motivi, questi Organismi stanno ormai da anni attirando l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, ma soprattutto dei decisori politici, sulla necessità di immediati e radicali interventi, ormai non più per arrestare, ma almeno per contenere il progressivo aumento della temperatura globale e che possano, quindi, almeno arginare in qualche modo le negative ricadute su ambiente e salute che si determinano.
Accanto alle indicazioni e richieste degli Organismi internazionali, poi, si è andata aggiungendo, sempre più forte, la voce dell’opinione pubblica mondiale e soprattutto dei giovani che si stanno sempre più attivamente e massicciamente mobilitando (un esempio tra tutti, il movimento Global Strike for Future) per pretendere gli interventi necessari per evitare o almeno limitare situazioni ambientali di sicuro nocumento per loro e per le future generazioni.
Il problema della limitazione dei processi di combustione di origine antropica -quale che sia il combustibile utilizzato- è perciò nodale per il raggiungimento dell’obiettivo del contenimento del progressivo aumento della temperatura globale, nonché della concentrazione in atmosfera di sostanze tossiche.
La combustione delle biomasse agro-forestali rappresenta perciò un problema dal punto di vista dell’impatto ambientale e sulla salute umana. Per i motivi illustrati, che le biomasse forestali siano comprese tra le fonti di energia rinnovabile, suscita sorpresa e sconcerto per più di un motivo.
Anzitutto, come in tutti i processi di combustione, esse liberano in atmosfera sostanze tossiche e cancerogene (non intercettabili neanche con i più sofisticati filtri industriali) e lasciano ceneri di fondo, come residuo della combustione, pure esse contenenti sostanze pericolose per la salute, concentrate, per di più, dal processo di combustione.
Anche la pretesa “neutralità” circa il rilascio di gas climalteranti, rispetto al bilancio della CO2 –tra assorbimento durante l’accrescimento e liberazione durante la combustione-, è una tesi che appare del tutto criticabile, sia per le modalità con cui avvengono le modifiche nella concentrazione del gas (lentezza nell’assorbimento, estrema rapidità nella dismissione), che per il bilancio complessivo che, dovendo calcolare anche la fase di estrazione e di trasporto delle biomasse –spesso da luoghi remoti, rispetto a quelli di utilizzo- risulta essere inevitabilmente sfavorevole.
Né si possono non considerare le infiltrazioni criminali che nella nostra Regione, come pure nel resto del Paese, oramai strutturalmente affliggono il mercato delle biomasse boschive.
Come ultima notazione di carattere generale, è anche il caso di aggiungere che la produzione energetica da combustione di biomasse forestali, a motivo della ridotta resa che esse offrono (poco oltre il 20%), si regge, dal punto di vista imprenditoriale, unicamente sugli spropositati incentivi pubblici che le sostengono (la centrale a biomasse della Valle del Mercure, nel solo 2016 –anno di inizio della sua attività- ha fruttato 49 milioni di euro, di cui solo 10 milioni da produzione energetica e i rimanenti 39 milioni da incentivi pubblici!). E tutto ciò, in una regione, come la Calabria, che, come informa TERNA, vanta un surplus energetico superiore al 150% rispetto alle proprie necessità.
Ecco allora che iniziative che utilmente potrebbero essere economicamente supportate sul territorio del Parco Nazionale del Pollino, relativamente al contrasto ai cambiamenti climatici, possono seguire due paralleli indirizzi: il contrasto all’utilizzo delle biomasse ad uso combustibile e il controllo e monitoraggio dell’impatto che le stesse hanno avuto ed hanno sull’ambiente protetto del Parco del Pollino, nonché sulle popolazioni ivi residenti.
1. Contrasto all’utilizzo delle biomasse ad uso combustibile attraverso:
a. il potenziamento dell’azione già iniziata dall’Ente Parco con l’acquisizione di aree boscate di pregio per sottrarle ai prelievi finalizzati all’utilizzo delle biomasse forestali ad uso energetico.
b. indennizzi a proprietari di aree boscate che rinuncino al taglio finalizzato alla produzione di biomasse ad uso combustibile.

2. Valutazione e monitoraggio attraverso indicatori biologici (licheni e metodologie analoghe) dell’impatto ambientale determinato dalle emissioni relative e collegate (traffico veicolare derivante dal trasporto delle biomasse) al funzionamento della centrale del Mercure.



TIPOLOGIA III - MOBILITA’ SOSTENIBILE
La sinteticità della scheda inviata (come per altro le altre concernenti le ulteriori TIPOLOGIE di interventi) non consente la ponderata valutazione delle proposte avanzate, ma tuttavia permette alcune considerazioni, anche sulla scorta di contatti e suggerimenti avuti con rappresentanti di Associazioni ambientaliste locali e nazionali di cui il sottoscritto è portavoce in seno al CD dell’Ente Parco.
La voce riguardante i trenini elettrici ha destato unanime perplessità per la tipologia dell’intervento che appare complessivamente impattante –e non positivamente- sulla immagine del Parco, per l’innegabile connotazione ritenuta eccessivamente “ludica” e scarsamente in linea con quella che un’area naturalistica dovrebbe avere.
Per quanto specificamente attiene al riferimento a Orsomarso e alla Valle dell’Argentino, appare rilevante il fatto che questo territorio conservi ancora caratteristiche di naturalità uniche, che vanno accuratamente preservate. Nei boschi della zona insiste una consistente e poco nota popolazione di Picchio nero, che va lasciata assolutamente indisturbata. Sono state raccolte ripetute segnalazioni, certamente da verificare, ma molto circostanziate e attendibili, di avvistamenti della inafferrabile e misteriosa Lince appenninica. Ed è proprio in questi monti che si trova uno degli ultimi nuclei originari di Capriolo italico, oggi in forte espansione. La Valle dell'Argentino, ricca di acque purissime, è certo la roccaforte naturale più importante, e va senza esitazione salvaguardata come riserva integrale. Ne consegue che la valle deve essere visitabile solo a piedi, da un numero il più ristretto possibile di persone, in religioso silenzio, senza uscire mai dal sentiero, ascoltando la musica delle acque e i canti degli uccelli. I fondi ministeriali contro il mutamento climatico potrebbero ben essere destinati alla creazione di una fascia boscata di protezione contigua alla valle. Ogni iniziativa diversa credo troverebbe una ferma e decisa opposizione, da parte di più d’una Associazione di salvaguardia naturalistica.
In ogni caso, lo sviluppo di questa Tipologia di intervento, dovrebbe essere da un lato accompagnato da interventi atti a ridurre concomitantemente l’afflusso dei “normali” mezzi di trasporto, come le auto private e, ancor più, a bloccare la vera e propria invasione di fuori-strada, quad, moto da cross puntualmente e da più parti denunciata anche in zone dove dovrebbero essere tassativamente vietati. Un intervento orientato ad ottenere tutto questo, sarebbe del tutto auspicabile e perfettamente in linea, a mio parere, con la Tipologia di intervento considerata.












TIPOLOGIA IV - GESTIONE FORESTALE SOSTENIBILE
Circa la scheda riguardante l’intervento relativo alla TIPOLOGIA III - MOBILITA’ SOSTENIBILE occorre fare alcune puntualizzazioni.
Gli interventi da effettuare dovrebbero essere inquadrati nell’ambito di un Piano Naturalistico in cui siano chiaramente delimitate le Zone di Riserva Integrale, che, di solito, comprendono almeno il 20% della superficie del Parco. In tali Riserve Integrali l'ecosistema forestale va lasciato intatto, conservandone lo stato primigenio e lasciando che si svolgano i cicli naturali.
Ma anche nelle circostanti più vaste Riserve Generali che devono tutelare la maggior parte del Parco, va favorito il ritorno allo stato naturale. Come già fatto rilevare per agli interventi relativi alla TIPOLOGIA I - CAMBIAMENTI CLIMATICI, conservare o rigenerare le foreste naturali è il miglior metodo, se non l'unico, per contrastare il disastroso cambiamento climatico già in atto.
Ciò premesso, ove l’intervento relativo alla Tenuta “La Principessa” si limitasse esclusivamente al rimboschimento di conifere potrebbe essere accettabile, purché limitato alla rimozione del larice e dei pini neri effettivamente in cattive condizioni vegetative. A tal proposito, è evidente che punti centrali della questione sarebbero da una parte la individuazione delle piante da rimuovere e, dall’altra, le attività di controllo relative. Non è inutile ricordare, tra l’altro, come in Appennino pinete adulte di pino nero abbiano una notevole importanza per diverse specie di uccelli. Le buche andrebbero fatte nelle zone in cui il rimboschimento si trova in cattive o mediocri condizioni vegetative evitando la costruzione di piste di accesso. E’ consigliabile che vengano aperte in corrispondenza di nuclei di rinnovazione di latifoglie autoctone già presenti. Ove tali nuclei non vi fossero e l'apertura delle buche (sicuramente contingentate di numero) si rivelasse indispensabile per favorire l'evoluzione del popolamento, la piantagione di specie autoctone deve essere eseguita subito e comunque. E' necessario però:
1. Assicurarsi che i semenzali siano di provenienza locale (Pollino e non altro per evitare squilibri genetici). Se non fossero disponibili piantine locali, bisognerebbe ritardare i diradamenti, raccogliere il seme locale, produrre le piantine e poi procedere agli interventi. 
2. Prestare la massima attenzione alla scelta delle tecniche di piantagione e all'esecuzione degli interventi. Esperti del settore suggeriscono di sperimentare, almeno in alcune aree, anche il metodo Miyawaki.
Rimane, infine, il “nodo” della destinazione della legna (sperabilmente assai limitata) esitante dai selettivi interventi di rimozione, rispetto alla quale sono necessarie dettagliate informazioni.
22 luglio 2019

Il Consigliere dell’Ente Parco
(dott. Ferdinando Laghi)







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