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Esclusiva intervista all'ing. Joseph Tufaro, da Terranova di Pollino alla Luna

15/09/2009



Giovanni Labanca

In occasione del celebratissimo quarantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna del 20 luglio 1969 e del super celebrato “piccolo passo per l’uomo,ma grande salto per l’umanità”di Neil Armstrong , ogni nazione,ogni regione ed ogni paese ha scavato nel proprio passato alla ricerca di illustri concittadini che, in qualsiasi modo, avessero partecipato alla straordinaria avventura dell’Apollo 11.
Nella nostra Lucania, ed in modo particolare a Sasso di Castalda, si è giustamente ed orgogliosamente ricordato Rocco Petrone, direttore di lancio del centro di controllo di Houston, divenuto famoso per aver scandito il countdown e premuto il fatidico pulsante rosso del GO alla missione che più di ogni altra ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero. Interviste,articoli,addirittura un libro del collega Cantore della Rai di Potenza ne hanno fatto conoscere tutti i particolari possibili sulla sua vita, dell’emigrazione dei poveri genitori,con grande ricaduta di onore e merito alla nostra regione per aver partorito un figlio così importante.
Noi de “La Siritide”, anche se in lieve ritardo sulla precisa data dell’anniversario, abbiamo fatto ancora di più. Abbiamo rintracciato un altro figlio di immigrati italiani che ha direttamente, in prima persona, lavorato alla costruzione del famoso LM (divenuto poi LEM) tanto per intenderci, l’Eagle che è allunata nel Mare della Tranquillità. Si tratta di Josepf Tufaro, figlio di Francesco Tufaro e di Maria Oliveti di Terranova di Pollino,emigrati a New York nel 1926,dove due anni dopo sarebbe nato il futuro ingegnere aeronautico-spaziale.
Oggi è un tranquillo pensionato che vive in una zona residenziale di New York,dove lo abbiamo raggiunto telefonicamente ed intervistato con l’aiuto del figlio Douglas ,che parla molto bene l’italiano più di quanto noi non parliamo, purtroppo, l’inglese.
In Italia è pomeriggio, prima mattina a New York. Componiamo il suo numero di telefono non senza emozione, in attesa di sentire, oltre oceano, la voce di Giuseppe Tufaro e farci raccontare , dal suo punto di vista, un pezzo di storia dell’astronautica americana,senz’altro la fase più importante,quella che avrebbe portato alla realizzazione di un sogno,ma soprattutto al coronamento di anni di duro lavoro, segnati anche dalla morte di maestranze e astronauti,nel pieno adempimento del loro dovere.
Risponde qualcuno,ci presentiamo e chiediamo di Giuseppe Tufaro. Alla cornetta il figlio Douglas, che conosciamo personalmente per le sue ripetute frequentazioni di Terranova, che, dopo le piacevoli frasi di circostanza, ci passa il padre, che salutiamo con un caloroso “good morning”. La risposta è altrettanto cordiale e si dice contento, anche se sorpreso del nostro lavoro di “segugi”.

- Mister Labanca, per me è fantastico poter raccontare ad un giornalista italiano e per di più mio “compaesano” quello che io ho fatto alla NASA, anche perché mi fa tornare indietro negli anni ,con flash back che mi rifanno sentire giovane.
-
Anche per noi è un piacevole salto di quarant’anni e perciò, se lei è d’accordo,andiamo subito,con una ipotetica macchina del tempo,al famoso 20 luglio del 69. Dove si trovava esattamente e con chi?
- Eravamo tutti al centro di controllo di Houston, ingegneri ,tecnici ed astronauti. Solitamente,noi ingegneri non lo facevamo quasi mai,ma l’occasione era talmente importante e significativa che non potemmo fare diversamente.
Ci sembra giusto che tutta la “squadra” fosse unita in un unico posto ad aspettare trepidante la conclusione del volo dell’Apollo 11,che avrebbe rappresentato, non solo per voi, ma per gli States, in particolare,la vittoria o la sconfitta dell’intera Nazione.
- Proprio così. Non so se eravamo più emozionati od impauriti. Può facilmente intuire il nostro stato d’animo,le nostre preoccupazioni. Se qualcosa,alla fine,non avesse funzionato a dovere, sarebbe stata veramente un gran brutto colpo per tutti. E,proprio mentre la missione sembrava compiuta,a pochi metri dalla superficie della Luna, Neil Armstrong,fu costretto a guidare manualmente il LM e spostarsi di parecchi metri dal preventivato punto di allunaggio. Per fortuna, fu bravo e toccò il suolo,nel preciso momento in cui i segnali telemetrici ci indicavano fatalmente che il carburante dell’Aquila era terminato,non ce n’era più nemmeno un gallone. Sarebbe stato un disastro,ma,evidentemente,oltre alla maestria di Neil, ci diede una mano anche il buon Dio.
Difatti, andò bene,come tutti sappiamo. Sarebbe stato,oltre che la sconfitta dell’astronautica americana in sé, soprattutto quella più grave della politica degli Stati Uniti di rivalsa nei confronti dell’Unione Sovietica,in un periodo di guerra fredda che, in alcuni momenti,ha fatto temere addirittura lo scoppio di una devastante e finale terza guerra nucleare. A proposito,dopo tanti anni,lo si può anche dire,quanto e come abbia influito sul vostro lavoro la politica governativa che con il famoso annuncio del presidente Kennedy, sfidando appunto l’URSS, affermò davanti al popolo americano che nel decennio in corso un “ americano” sarebbe sbarcato sulla Luna?
- Penso che lo possiamo dire,ma lo si era intuito anche allora che le pressioni da Washington erano forti e quindi,in un certo senso,abbiamo lavorato sempre con il fiato sul collo dei politici, senza,però,aver mai trascurato il lavoro nei minimi particolari,anche perché l’Apollo non sarebbe decollato con i discorsi ed i proclami. E’ indubbio,comunque, che la missione spaziale dell’Apollo 11 abbia segnato, in modo netto, la nostra vittoria tecnica sugli avversari russi,dopo anni di umiliazioni e di frustrazioni,segnando anche la nostra vita privata,perché su di noi ricadevano quasi tutte le responsabilità.
Ingegnere,anche se può sembrare una domanda banale e scontata,a cosa e a chi ha pensato alle 16,17 di quel 20 luglio,quando,per la prima volta nella storia dell’umanità,un mezzo “terrestre” ha sollevato la polvere lunare?
- No,mister Labanca, non mi sembra affatto una domanda banale. Anche noi tecnici,in fondo,siamo uomini ed abbiamo i sentimenti dei comuni mortali Il mio primo pensiero è andato a tutta la mia famiglia: ho rivisto in un attimo, come in un sogno,lo sbarco dei miei poveri genitori dal bastimento che da Napoli li ha condotti sotto la statua della Libertà,i miei figli. E’ volato verso il presidente Kennedy che,come sappiamo,è stato assassinato prima, ed anche verso l’astronauta “Gus” Virgil Grissom, che bruciò sulla rampa di lancio con i colleghi Edward White e Roger Chaffee, nell’abitacolo dell’Apollo 1, durante una simulazione di volo, il 27 gennaio 1967. Ero molto legato agli astronauti con cui facevamo addestramenti continui, ma avevo una particolare amicizia con Grissom che, nessuno lo ricorda, era stato prescelto per la missione dell’Apollo 11 come comandante, posto che fu poi di Armstrong.
Facciamo un passo indietro, ingegnere: come è entrato nella Nasa e,in particolare, cosa ha “fatto” con le sue mani oltre che con la sua mente, nel Modulo Lunare.
- Inizialmente, sono stato assunto nella Grumman Corporation Aerspace Sistems ,con sede a Bethpage, New York, azienda che progettava, costruiva e collaudava i moduli lunari per la Nasa. Successivamente, la Nasa stessa incorporò l’azienda e, quindi, ne divenni automaticamente dipendente. Il mio lavoro era molto delicato,oltre che importante. Mi spiego meglio. A quei tempi,avevamo dei vettori di lancio con poca potenza rispetto a quelli di oggi e,gioco forza,dovevamo tenere presente due fattori da cui non si poteva prescindere: il peso e lo spazio.
Io ho lavorato nella parte forse più delicata del LM. Ero nella “porzione” dell’abitacolo dove era collocata la strumentazione con tutti i cablaggi relativi e,quindi,ho dovuto letteralmente spremere le meningi per “creare” dei sistemi quanto più ridotti possibile,che pesassero poco e fossero altrettanto poco invadenti. E’ stato un lavoro fantastico per quei tempi,quando ancoro non esisteva il digitale ed i computer erano in fase sperimentale. Tutto sembrava grossolano e quasi ridicolo se confrontato alla strumentazione dello Schuttle di oggi, tanto per intenderci. Abbiamo riempito ogni millimetro quadrato disponibile per costruire nel migliore dei modi l’alloggiamento dei piloti che, nonostante tutto, sono stai scomodissimi,ma felici.
- Possiamo dire,in conclusione,che da allora è cominciata l’era della miniaturizzazione che di lì a poco si sarebbe sviluppata con gli enormi benefici per tutto il settore astronautico ed industriale, in genere?
- OK, proprio così. Siamo stati noi i pionieri dell’Era moderna e, per questo,ancora oggi,ci sentiamo orgogliosi del nostro lavoro che ha avuto ricadute per tutta l’umanità.
- Quale altro episodio,tra i tanti vissuti alla Nasa, ricorda in modo particolare?
- Sicuramente il volo dell’Apollo 13. Tutti sanno come si è svolto,anche per via di un famoso film. Ma la realtà è stata ben altra,drammatica al punto tale che al centro di controllo siamo rimasti tutti di ghiaccio quando ci giunse dallo spazio il disperato rapporto del comandante James Lowel : “Houston, we’ve had problem” (Houston, abbiamo avuto un problema), poi diventato,quasi per volontà popolare, “Houston, we have a problem” (Houston, abbiamo un problema). Comunque sia, mentre la navicella era diretta verso l’orbita lunare,un incendio a bordo face saltare l’energia elettrica e di conseguenza, tutto il sistema andò in tilt. Fu immediatamente annullata la missione e deciso,allora,di trasferire l’equipaggio nel LM,dove c’era abbastanza ossigeno per la sopravvivenza dei piloti.
E cosa ha fatto in particolare l’ingegnere Tufaro, in quella situazione mai “simulata” a terra?
- Si trattava di inventarci letteralmente , in laboratorio, dei nuovi strumenti,tenendo presenti i materiali che c’erano a bordo dell’Aquarius, per consentire,soprattutto,di approntare il meccanismo che serviva a depurare l’aria dall’anidride carbonica, i cui alti valori avrebbero,ovviamente, ucciso gli astronauti.
Fu un momento terribile,ma anche in quella occasione,per fortuna,ebbe la meglio il nostro ingegno,la mente degli ingegneri. Per farla breve e come del resto si vede bene nel film, inventammo,con la mia supervisione,una specie di scatola tutta particolare che, costruita con il materiale che avevano a disposizione nello spazio, avrebbe funto da filtro dell’aria. In breve,il sistema funzionò e riuscimmo a far riparare anche il sistema elettrico, che salvò da morte certa per assideramento i poveri piloti. La missione tenne il mondo con il fiato sospeso e noi più di tutti e dimostrò, in modo inequivocabile, anche la buona fattura del LM da noi costruito alla Grumman.
La missione venne definita malignamente “ fallimento di successo”, ma fu un’altra vittoria dell’ingegno umano, costretto a superare prove tremende in momenti di assoluta ed imprevedibile emergenza, proprio come quella che prima abbiamo ricordato,dell’incendio dell’Apollo 1, in cui morì il suo amico Grissom.
- Anche in quella tragica fatalità,per colpa di una scintilla,bruciò l’ossigeno puro e con esso i tre uomini che tutti ricordiamo con stima ed affetto,oltre al mio amico “Gus”,Edward White e Roger Chaffee. Io, allora, fui incaricato di studiare dei materiali completamente nuovi e soprattutto ignifughi o di lenta combustione,per evitare il ripetersi di fatti simili. Dopo tanti sforzi, i nostri tentativi furono premiati ed anche da questo lavoro oggi ne traggono benefici tutti.
Ingegnere,come erano i rapporti con Rocco Petrone,il direttore di lancio dell’Apollo 11;vi conoscevate come corregionali?
- Con il direttore Petrone, pur conoscendolo,ho avuto pochi rapporti,perché noi operavamo lontano da Houston e facevamo un lavoro diverso che non favoriva la nostra amicizia,al contrario di come avveniva con gli astronauti che si addestravano con noi ogni giorno. Comunque,mi fa piacere che anche lui abbia avuto la mia stessa origine e tipo di vita.
Vale la pena,ancora oggi, continuare l’attività spaziale e,soprattutto,cosa ne pensa di un nuovo possibile sbarco sulla Luna,visto che, proprio in questi giorni, un satellite, l’LRO, sta fotografando la sua superficie in modo del tutto nuovo ed accurato?
- Per me, non c’è nessun motivo per tornare sulla Luna. Non ci sono più né i presupposti politici né tecnici di quarant’anni fa,tanto meno quelli economici,visto che lo sfruttamento del suo suolo lunare è impossibile,semmai è controproducente. Però,non si può mai dire mai.
Condivido,però,l’attività spaziale di oggi, perché, finita la guerra fredda,ora c’è cooperazione tra la nazioni del mondo e soprattutto con l’ex Unione Sovietica, che in campo missilistico, ammettiamolo onestamente,è stata sempre all’avanguardia. L’uomo,del resto,non si può fermare mai,come non ci fermammo noi,altrimenti il progresso non sarebbe mai arrivato.
Ingegnere Tufaro,prima della conclusione della nostra interessantissima chiacchierata,anche se a distanza,approfittando de La Siritide, il nostro sito web molto seguito nell’aerea del Pollino,vuole salutare qualcuno in Italia?
- Oh,thank you very much,mister Labanca,saluto tutti i miei parenti di Terranova di Pollino ed , in modo particolare, i miei cari cugini Cenzino e Franco Oliveti , che invito a tornare a New York,perché ho tanto desiderio di riabbracciarli.
Grazie di cuore, ingegnere Tufaro,per quello che ha fatto,in primis,per la NASA e l’umanità intera,ma grazie soprattutto perché,come riporta anche una targa sul LM, se Neil Armstrong ha potuto compiere il famoso passo sulla Luna, lo deve anche ad un uomo venuto,in un certo senso,dalla Lucania;da Terranova di Pollino.


L'ingegnere Tufaro,il primo a sinistra della foto,mostra la scatola "magica" che ha salvato l'equipaggio dell'Apollo 13.

lasiritide.it

La redazione ringrazia di cuore Giovanni Labanca per la professionalità, la collaborazione, per l'amicizia e il grande lavoro svolto per La Siritide.



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