Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1999. La data commemora le sorelle Mirabal – Patria, Maria Teresa e Minerva – uccise negli anni ’50 nella Repubblica Dominicana per la loro opposizione alla dittatura . I nuovi dati ufficiali ottenuti da #DatiBeneComune e Period Think Tank mostrano che colpisce donne di tutte le età, in tutte le regioni e in contesti molto diversi. L’accesso civico generalizzato (Foia) ha permesso di rendere pubblici, per la prima volta, dati dettagliati su 2.422 reati commessi tra 2023 e 2024 contro persone di genere femminile. I numeri smentiscono molti stereotipi: tra le vittime ci sono bambine, adolescenti, donne mature e anche ultraottantenni; quasi la metà ha tra 30 e 45 anni.
Le province con il tasso più alto di reati (per 100mila abitanti) non sono le grandi città ma territori medi o piccoli come Trieste, Imperia e Caltanissetta. Le grandi città, pur avendo numeri assoluti elevati, mostrano tassi più contenuti.
Dal 2019, con l’introduzione del codice rosso, reati e vittime risultano quintuplicati: più che un aumento della violenza, è il segno di una maggiore capacità di intercettarla, anche grazie a nuovi reati come revenge porn o matrimoni forzati.
Nonostante la massa di informazioni ora disponibili, restano molte criticità: difficoltà nel combinare i dataset, mancanza di dati pienamente aperti, assenza di una categoria ufficiale di “femminicidio”, che l’Italia ancora non riconosce a livello normativo. Significa che il termine femminicidio ormai è entrato nel linguaggio comune , giornalistico e criminologico ma non in quello giuridico. Questa carenza di cultura del dato ostacola la creazione di interventi efficace di prevenzione, la valutazione del rischio e la possibilità di smentire narrazioni infondate (come il legame tra violenza e immigrazione).