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In Basilicata 53 cave autorizzate ma senza alcun canone di concessione

5/11/2025



A distanza di quattro anni Legambiente presenta il Report Cave 2025. Numeri alla mano, in Italia, complice la crisi del settore edilizio, si registra un calo delle cave autorizzate (quelle attive e quelle autorizzate ma in assenza di attività estrattiva in corso), scese a 3.378 (-51,3% rispetto alla prima rilevazione del report del 2008 e -20,7% rispetto al report 2021). Tuttavia, l’Italia registra un aumento dei prelievi per sabbia e ghiaia: 34,6 i milioni di metri cubi annuali (+18,5% rispetto al 2021).


Di fronte a questo ritratto eterogeneo Legambiente individua 3 priorità per rilanciare il settore in chiave sostenibile:


1) Aumentare il recupero e riciclo dei materiali provenienti da demolizione e costruzione trasformandoli in alternative agli aggregati tradizionali, riducendo il conferimento a discarica, garantendo tracciabilità dei materiali, introducendo la demolizione selettiva nelle gare pubbliche, fissando obiettivi di recupero e riciclo e investendo nella formazione degli operatori.


2) Introdurre un canone minimo nazionale per i materiali estratti, pari almeno al 20% del valore di mercato, per garantire un uso equo delle risorse e il ripristino di tutti i siti estrattivi, incentivare l’innovazione e il recupero ambientale e l’impiego di materiali riciclati a costi competitivi.


3) Rafforzare la tutela dei territori, rendendo obbligatoria l’approvazione e l’aggiornamento dei Piani per le Attività Estrattive (PRAE) regolando i prelievi, l’uso di materiali riciclati, estrazioni sostenibili, garantendo il recupero delle aree e i controlli contro le infiltrazioni criminali. "Quello delle estrazioni in cava - dichiara Antonio Lanorte, Presidente di Legambiente Basilicata - è un settore con forti impatti ambientali ed economici ancora regolato da un decreto del 1927, basato, quindi, su un approccio datato e che trascura le ricadute sui territori in termini di polveri, risorsa idrica e suolo, rumore e vibrazioni, paesaggio, ecosistemi naturali”.


La normativa di riferimento Il settore, così delicato per gli impatti e gli interessi, è governato a livello nazionale da un Regio Decreto del 1927.


Da allora non vi è più stato un intervento normativo che determinasse criteri unici per tutto il Paese, mancano persino un monitoraggio nazionale della situazione o indirizzi comuni per la gestione e il recupero. Con il DPR 616/1977 le funzioni amministrative relative alle attività di cava sono state trasferite alle Regioni, e gradualmente sono state approvate normative regionali a regolare il settore. Purtroppo, ancora in molte Regioni si verificano situazioni di grave arretratezza e i limiti all’attività estrattiva sono fissati in maniera non uniforme. La Basilicata è una delle Regioni (insieme ad Abruzzo, Molise, Sardegna, Calabria, Friuli-Venezia Giulia e provincia di Bolzano) in cui è assente un Piano Cave.


L’assenza dei piani è particolarmente preoccupante perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione. Questa assenza di pianificazione, unita agli interessi economici e alla presenza della criminalità organizzata nella gestione del ciclo del cemento, nel controllo delle aree di cava e nel settore dei rifiuti, mostra una situazione ancora allarmante in troppe aree del Paese.


I canoni La Basilicata è la sola Regione italiana, con la Sardegna, che permette il prelievo di qualsiasi tipo di roccia senza incassare un centesimo.


In generale le entrate percepite dagli enti pubblici con l’applicazione dei canoni sono estremamente basse in confronto ai guadagni del settore. Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle Regioni, per sabbia e ghiaia, è di 19,4 milioni di euro, cifre bassissime rispetto ai quasi 350 milioni di euro all’anno ricavati dalla vendita. Se venisse applicato un canone, come avviene in Gran Bretagna, pari al 20% dei prezzi di vendita, gli introiti delle Regioni per l’estrazione di sabbia e ghiaia salirebbero a 66 milioni di euro. Ad esempio in Basilicata 368mila euro ogni anno solo per i quasi 200.000 mc di sabbia e ghiaia estratti. Se un canone di questo tipo si fosse introdotto negli ultimi dieci anni si sarebbero potuti generare quasi 4 milioni di euro di entrate per le casse pubbliche regionali, fondi, peraltro, estremamente importanti per il ripristino ambientale dei luoghi oggetto di attività estrattive. Cave in Basilicata: i numeri In Basilicata ci sono 53 cave autorizzate (di cui circa 40 attive) e 181 cave dismesse o abbandonate che comprendono anche quelle recuperate, naturalmente o per ripristini ambientali. Però resta ancora aperta la problematica relativa all’essenza di un piano di recupero per le aree di cave che hanno chiuso le attività prima dell’intervento normativo da parte della Regione (cioè, prima del 1979), per le quali sarebbero necessari un censimento e una conseguente riqualificazione ambientale, nonostante la rinaturalizzazione spontanea di molti di questi luoghi. In Basilicata, inoltre, anche a causa dell’assenza del PRAE, mancano divieti espliciti di attività in aree sensibili (come Parchi, Riserve, siti natura 2000, aree archeologiche, ecc). Peraltro, anche le sanzioni applicate nei casi di coltivazione illegale, abusivismo, inosservanza delle prescrizioni previste dalle norme regionali, sono incredibilmente basse rispetto al danno ambientale che ne può scaturire. In Basilicata per la violazione del progetto approvato si pagano al massimo 20mila euro; per escavazioni abusive si applicano sanzioni basate su quanto materiale è stato estratto. “A dimostrazione di quanto la questione dei ripristini ambientali sia cruciale – conclude Lanorte - nel Report viene descritto il caso recente relativo alla presunta esistenza in Regione di un vero e proprio sistema che avrebbe coinvolto imprenditori del settore estrattivo e funzionari regionali, finalizzato ad evitare ai primi di porre in essere le previste (ed ovviamente onerose) attività di ripristino ambientale a valle dell’attività estrattiva grazie a diversi tipi di regalie e vantaggi economici per i funzionari pubblici, con una violazione sostanziale e reiterata delle normative volte alla tutela dell’ambiente e del paesaggio”.


 


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