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Maratea: cambiamenti climatici, incendi e l’uomo, le cause delle frane spiegate dal geologo Iannibelli

2/12/2022



Quello che è successo a Maratea dallo scorso mese di ottobre è sintomatico di quanto il dissesto idrogeologico stia letteralmente dilaniando la nostra regione, come il resto della penisola.


Innalzamento della temperatura del mare, gli incendi e l’immancabile mano dell’uomo hanno indebolito un territorio con le conseguenze che stiamo vedendo tutti e che non valgono certo solamente per la Perla del Tirreno, basti pensare alla recente tragedia di Ischia. 


Con Antonio Junior Iannibelli, geologo e segretario dell’ordine della Basilicata, abbiamo provato ad approfondire da un punto di vista scientifico i due fenomeni che hanno colpito la rinomata località lucana mercoledì e lo scorso 13 ottobre la cui origine, secondo quanto ci ha spiegato, è differente.   Nell’intervista è anche emersa la preoccupazione da parte dei geologici - ma in via generale e non riferendosi a Maratea - circa il rispetto della disciplina prevista per mettere in campo un’adeguata programmazione che possa prevenire simili disastri.


Da un punto di vista geologico, che zona è quella della frana di giovedì scorso?   


Il settore costiero marateota interessato dalle dinamiche gravitative di versante di ieri risulta essere caratterizzato essenzialmente da litologie rocciose calcaree oppure calcareo dolomitiche, intensamente fratturate e tettonizzate. Pertanto, l’assetto geo-strutturale degli ammassi rocciosi rappresenta un’importante causa predisponente per i movimenti franosi che si sono susseguono nel corso degli anni, con cinematiche principalmente da crollo o ribaltamento. Oggi, l’evoluzione climatica in atto, sbilanciata, rispetto al recente passato, verso fenomeni meteorologici maggiormente enfatizzati, recita certamente un ruolo sostanziale relativamente all’infittirsi della frequenza di determinati processi di carattere idrogeologico e geomorfologico. Uno dei parametri, maggiormente significativi, che influisce su una compressione dei tempi di ritorno di determinati eventi meteo-climatici, è la temperatura superficiale delle acque. L’intero bacino del Mediterraneo,  e nella fattispecie il basso Tirreno, fa rilevare, sistematicamente da molti lustri, una costante anomalia termica positiva che è sinonimo di maggiori quantità di energia in atmosfera e quindi di eventi potenzialmente di maggiore intensità. Peraltro, non si può dimenticare, come, purtroppo, buona parte della costa tirrenica e anche l’area di Castrocucco, durante il periodo estivo, sia in modo molto frequente percorsa dal fuoco. Questo è un aspetto che certamente incrementa i livelli di pericolosità.      


Quindi le frane in quel territorio hanno origine essenzialmente da un cambiamento climatico?   


Bisogna fare una distinzione tra il rischio e la pericolosità. Le frane osservate nelle ultime ore rappresentano una naturale evoluzione geomorfologica dell’area ed hanno tempi di ritorno, così come avviene per i terremoti, che devono essere analizzati su una scala temporale di carattere geologico. A partire dalla seconda metà del secolo scorso, la fascia costiera in oggetto ha evidenziato un progressivo incremento degli esposti presenti con un susseguente aumento dei livelli di rischio, legati ad una maggiore densità di abitazioni e infrastrutture che oggi, a differenza di 50 anni fa, insistono su quell’area. Se torniamo al sisma del ‘98, l’unico decesso avvenne nei pressi di località “Cersuta” di Maratea per un crollo simile a quello di giovedì, appunto indotto da una sollecitazione sismica. Ritornando al cambiamento climatico, sarebbe opportuno puntualizzare, quando si parla di bombe d’acqua o eventi estremi, che la nostra “memoria” legata ai monitoraggi meteorologici vanta una cronologia di poco più di un secolo, mentre è al fine di pianificare in modo corretto il territorio risulta indispensabile far riferimento ad un range temporale molto più ampio.   Anche i sedimenti presenti lungo i nostri alvei fluviali, sono ad esempio, un indicatore dei processi geomorfologici che potenzialmente potremmo riscontrare.    


Queste spiegazioni valgono anche per la colata di fango e detriti che ha investito Castrocucco lo scorso 13 ottobre?  


Nella caso particolare, pur non avendo visionato personalmente i luoghi, la dinamica è stata essenzialmente legata ad una saturazione del sistema di drenaggio delle acque superficiali, con un evento, se vogliamo, più simile a quello osservato ad Ischia la scorsa settimana che ai crolli delle ultime ore.   


Per la messa in sicurezza della zona cosa andrà fatto?  


Dal mio modesto punto di vista bisognerà preliminarmente ridurre il rischio residuo, operando ad esempio disgaggi e, successivamente, effettuando uno scrupoloso rilievo geomeccanico e geostrutturale per verificare lo stato dell’ammasso roccioso. Ma astraendo dal caso specifico e affrontando il discorso con un respiro di carattere nazionale, è opportuno domandarsi se le misure e le programmazioni in materia di rischio idrogeologico siano rispettate nei tempi e negli standard minimi di qualità imposti dalle norme. L’Ordine dei Geologi di Basilicata è impegnato in modo costante affinché tutti gli interventi in materia di prevenzione si eseguano tenendo conto delle condizioni geologiche del territorio, in conformità all’architettura giuridica e normativa che definisce appunto la figura del geologo come determinante e in materia di pianificazione e per ponderare le corrette scelte di carattere progettuale.   


Quali sono i tempi per riaprire la SS18?  


Esistono evidentemente dei tempi di carattere amministrativo, vincolati dalle norme in materia di contratti pubblici. Sotto l’aspetto progettuale e di escussione dei lavori i tempi saranno evidentemente dettati dalla complessità dell’intervento e dal rispetto dei criteri di sicurezza.  


 


Gianfranco Aurilio




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