Seguiamo la vicenda di Luca Ventre ormai da quasi 5 anni, a poche settimane da quella mattina del 1° gennaio 2021, quando per il mondo l'anno cominciava e per Luca la vita stava per finire. Luca Ventre, 35 anni, italiano (di mamma lucana, Palma Roseti di Senise) varcò il cancello dell’ambasciata italiana a Montevideo e non fece più ritorno. La sua morte ha segnato una ferita profonda non solo per la sua famiglia, ma per chiunque creda nella giustizia e nella tutela dei diritti dei cittadini all’estero.O così dovrebbe essere. In 5 anni sono state pochissime, quasi assenti, le istituzioni che hanno fatto realmente sentire la loro voce per dare giustizia alla famiglia di Luca. Giustizia. Perchè la verità, questa volta, è stata fin da subito raccontata dalla testimonianza di ''occhi'' che non è possibile smentire: quelli delle telecamere di sorveglianza del cortile dell'ambasciata.
Il 1 gennaio 2021 Luca si recò molto presto nell’ambasciata italiana, scavalcò i cancelli, era inerme, aveva con sé solo una borsa con alcuni documenti. Venne trattenuto a terra per oltre 20 interminabili minuti dal poliziotto di guardia, Dos Santos fino a che, esanime, venne trascinato fuori e portato in ospedale, dove morì poco dopo. Le autorità uruguaiane attribuirono la morte a un «arresto cardiaco aggravato dall’uso di cocaina», ma l’autopsia italiana parlò chiaro: «asfissia meccanica prolungata».
Nuove registrazioni audio e video, ottenute grazie all’avvocato della famiglia Fabio Anselmo, hanno confermato che Luca non opponeva resistenza. Le immagini smentiscono le dichiarazioni della guardia, che al telefono con il 911 lamentava difficoltà a contenerlo. Nei filmati si sente chiaramente Luca dire «Non mi muovo», seguito dai lamenti provocati dalla pressione al collo. Queste prove rafforzano la tesi della famiglia sulla responsabilità dell’agente. La Procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione del procedimento, sostenendo che non fosse possibile procedere penalmente contro l’agente uruguaiano Ruben Eduardo Dos Santos Ruiz, ritenuto responsabile dell’asfissia che causò la morte di Luca, perché si trovava fuori dal territorio italiano. La famiglia si era opposta. Il Giudice per le Indagini Preliminari, Rosamaria De Lellis, ha dichiarato inammissibile l’opposizione, nonostante ''le indagini abbiano ricostruito con precisione i fatti e raccolto prove sufficienti per sostenere la responsabilità dell’agente''. La legge italiana, però, impedisce di procedere contro indagati assenti dal Paese. Insomma: la verità non può incontrare la giustizia.
Nel febbraio 2024, la Procura aveva iscritto come nuovo indagato Leonardo De Miranda Pena, il vigilante che aveva collaborato con Ruiz nel trattenere Luca. Il Giudice ha confermato l'archiviazione ma la famiglia può ancora opporsi grazie a un errore della Procura che non ha notificato la richiesta di archiviazione al padre di Luca, Mario Ventre. Insomma: la speranza appesa ad un errore grossolano. La vicenda di Luca resta una ferita aperta, ma anche una chiamata alla responsabilità delle istituzioni: nessuno deve essere lasciato solo di fronte all’ingiustizia. La battaglia della famiglia Ventre continua, e noi continueremo a seguirla con attenzione e determinazione. ''Confidavo nel fatto che le istituzioni avessero la capacità di mettersi dalla parte di chi subisce il torto e invece non è stato così'', dice Palma Roseti, la mamma di Luca.
Durissime le parole del fratello di Luca, Fabrizio che sui social scrive:
''La magistratura italiana oggi scrive nero su bianco che se qualcuno ammazza un italiano all’estero, nonostante le prove, non sarà punibile salvo che si costituisca volontariamente per farsi processare. Un vergognoso grazie a chi dovrebbe dare giustizia ma preferisce fare altro.(...) Riporto dalla sentenza di archiviazione. l'ampia attività di indagine effettuata da questo ufficio ha permesso di ricostruire la dinamica dei fatti come sopra descritta dettagliatamente ed in essa di raccogliere elementi più che sufficienti a sostenere in giudizio la responsabilità dell'indagato preso atto, tuttavia, che le argomentazioni di cui alla richiesta del P.m. vanno condivise in quanto, nella dolorosa vicenda in analisi, insuperabile ed assorbente è la circostanza che l'azione penale è improcedibile (ai sensi dell'art. 10 c.p.) per mancanza della presenza degli indagati sul territorio dello Stato''.
lasiritide.it