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'Il dovere più forte delle fiamme'.Il racconto di Francesco D'Onofrio e Marco Neri

8/07/2025



"Siamo molto scossi per quello che è accaduto. Ci chiediamo come sia possibile trovarsi in un letto d’ospedale e non altrove. Per come si erano messe le cose, sembrava scontato che finisse male... e invece è finita fin troppo bene."


Così Francesco D’Onofrio, poliziotto lucano originario di Sant’Arcangelo, che negli anni abbiamo imparato a conoscere prima sul tatami: da quello della palestra di papà Vincenzo — vera fucina di campioni e cuore pulsante di una famiglia straordinaria — fino ai palcoscenici internazionali. Poi, con la decisione di entrare in Polizia, è iniziato un nuovo percorso.


Formazione, dedizione, prontezza. Si è pronti ad affrontare le situazioni più dure e imprevedibili, anche se lo scenario di guerra che si è presentato la mattina del 4 luglio a Roma, forse, nessuno avrebbe potuto davvero immaginarlo.


Il letto di Francesco al Policlinico Umberto I è accanto a quello dell’ispettore Marco Neri, che con il poliziotto lucano condivide lavoro e un’esperienza difficile da raccontare. Ma anche da lontano, e nella sofferenza di una convalescenza appena cominciata, è evidente e tangibile il legame che ora più che mai li unisce in un patto profondo tra amicizia e senso del dovere. Ricordano nel dettaglio quanto accaduto il 4 luglio; loro, che grazie a fortuna e preparazione (e ad ''una mano sulla testa'') non hanno mai perso conoscenza, sono riusciti — pur avvolti dalle fiamme e circondati da un muro nero di fumo — non solo a salvarsi, ma anche ad aiutare un vigile del fuoco e altre persone. "L’onda d’urto e le fiamme ci hanno avvolti" – racconta Francesco, ricordando anche gli attimi prima dell’esplosione – "siamo arrivati sul posto in tempi record, conoscevamo bene la zona e sapevamo quale potenziale distruttivo potesse avere quel distributore. Essendo arrivato per primo, mi sono reso subito conto della gravità della situazione. Ho immediatamente richiesto l’intervento di altro personale, e dopo pochissimi minuti è arrivato anche l’Ispettore Neri. Forse è proprio grazie al suo intervento repentino che oggi siamo salvi, perché da solo probabilmente non ce l’avrei fatta."


"Abbiamo rispettato il protocollo e operato, ovviamente, in una condizione al limite della sicurezza. Qualcuno, là in alto, ci ha messo una mano sulla testa per farci uscire da lì" – aggiunge l’ispettore Neri – "Ne siamo usciti, anche se non indenni, purtroppo: abbiamo riportato ustioni piuttosto gravi in diverse parti del corpo."


Quando chiedo loro se riescono a intravedere una luce dopo quanto accaduto, la risposta è emblematica: "La luce l’abbiamo vista quando siamo usciti vivi da quell’inferno. I colleghi che erano fuori e hanno assistito all’esplosione pensavano fossimo carbonizzati. È davvero un miracolo quello che è successo."


Il nastro si riavvolge. Forse è stata l’adrenalina, o forse la vocazione profonda dell’indossare una divisa per una missione che va oltre il dovere. I sensi sono rimasti lucidi, illuminati dalla consapevolezza di non potersi permettere di mollare. "Forse quella è stata la nostra forza, no Francè?" dice Neri, voltandosi verso il letto accanto.


La disponibilità e la lucidità di questi due uomini non vengono meno, nonostante sia evidente la sofferenza fisica. Per Francesco, forse già domani sarà il momento di affrontare un primo intervento chirurgico. Il cammino è ancora lungo.


Ma accanto a loro c’è tutta l’Italia: le istituzioni, i vertici della Polizia di Stato e perfino un messaggio di vicinanza da parte di Papa Leone XIV. "In quegli attimi ti passano per la testa mille cose" – racconta ancora Francesco – "ma non bisogna mai perdere l’obiettivo: portare a casa la vita. Nonostante vedessimo letteralmente bruciare la nostra pelle, che assumeva un colore incandescente, come la lava, anche in quei momenti, mentre cercavamo di uscire, abbiamo visto un collega dei Vigili del Fuoco in difficoltà. E allora abbiamo pensato non solo a salvare la nostra vita, ma anche la sua."


Un esempio da seguire. Una storia da raccontare. 


''Ma non chiamateci eroi- dicono- siamo uomini che credono in quello che fanno e hanno fatto il proprio dovere''.


 


Mariapaola Vergallito


 





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