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Presentato a Marconia il libro ‘Filippo Calabrese, il confinato dell’Appennino’

16/10/2016

Una serata all’insegna della cultura sabato sera a Marconia presso la sede Ce.C.A.M in Piazza Elettra, con la presentazione del libro “Filippo Calabrese, il confinato dell’Appennino”, di Franco Villani e Donato Imbrenta edito da Villani Libri Editore.
Un libro dove è possibile riflettere sulle condizioni della Basilicata durante il fascismo “ mentre accoglieva i confinati con ospitalità antica , a causa della miseria, mandava al macello i suoi giovani nella guerra di Libia”.
Un pubblico scelto di amici ed estimatori, che si è divertito grazie anche agli “sketch” del poeta e attore aviglianese Donato Imbrenda che ha recitato in dialetto aviglianese delle poesie da lui scritte su : Matera Capitale 2019; Papa Francesco e I politici dello “scontrino”.
Il pubblico in sala poi ha ascoltato attentamente le letture dei dattiloscritti di “Calabrese” letti dalla Professoressa Grazia Giannace e Giovanni Di Lena.
I due autori e il Professor Giovanni Caserta (Critico letterario), che ne ha curato la post fazione, nel corso della serata hanno approfondito la vicenda di quel “confinato” Filippo Calabrese, nato a Palermo il 7 luglio del 1900 .
Filippo Calabrese, medico e giornalista, uomo che ha fatto gli studi classici conosce il latino, la letteratura italiana, la filosofia e la musica.
E’ un uomo di mondo che ha viaggiato in molti paesi, che dal 1935 al 1938 visse prima a Calvello e poi ad Avigliano, mentre Levi prima a Grassano poi ad Aliano.
In quella Basilicata piccola, piccola, “irraggiungibile” ma controllabile, scelta dal fascismo come terra di confino per politici, omosessuali, pregiudicati, circa 10.000 furono i confinati del regime fascista.
Il Professore Giovanni Caserta ha voluto focalizzare gli elementi esterni simili a Carlo Levi, ma anche le differenze.
Levi fù il confinato politico più conosciuto del periodo fascista. “Non c’è persona che non conosca il suo “Cristo si è fermato a Eboli”. “Ma Levi fu uno dei tanti”.
A volte, di costoro come “Calabrese” non ci sono tracce; poi compaiono inaspettatamente. E’ il caso di Filippo Calabrese, la cui documentazione è stata rinvenuta negli archivi storici dei Comuni di Calvello e Avigliano grazie ai due autori del libro.
Entrambi erano medici; entrambi erano dotati di grande sensibilità e competenza letteraria. Ma uno veniva dal Nord, l’altro dal sud. Entrambi furano assegnati al confino in Lucania. Calabrese trascorse il confino nel cuore dell’Appennino Lucano, le cui montagne, sono fittamente coperte da rigogliosa e folta vegetazione.
Mentre Carlo Levi, come medico, nel suo soggiorno ad Aliano curava i poveri contadini, Calabrese corteggiava le donne, in Lucania si sente in carcere e descrive una terra di contadini che salutano i signori con “schiavi a signoria…e così dichiarano involontariamente la loro miseria, la eterna miseria della povera gente che in alcuni punti della terra non si evolverà mai restando sempre schiava”.
Levi, perciò, ci restituiva l’immagine di una Lucania arida, lunare, tale da diventare quasi lo stereotipo con il quale la terra lucana viene identificata e conosciuta nel mondo. Quello descritto da Calabrese, al contrario, è un paesaggio ricco di verde e di acque. “Al Pedale” l’odierna Villa d’Agri. Lo spettacolo della Val d’Agri avrebbe scosso qualunque paesaggista intorpidito per la creazione di un magnifico quadro.
Grazie a Villani e Imbrenda dopo 80 anni Calabrese è tornato a vivere.



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