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Al mUseo della Siritide si celebra la Donna |
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6/03/2023 | Nella sala delle conferenze del Museo Archeologico Nazionale della Siritide di Policoro, l’8 di marzo, dalle 16.30, si festeggerà la “Donna” partendo dalle origini. Saluteranno i presenti, Anna Maria Mauro, della direzione regionale dei musei della Basilicata, nonché direttrice del Museo Nazionale di Matera, subito dopo, Enrico Bianco, sindaco di Policoro, Salvatore Cosma, sindaco di Tursi e Valentina Viola, sindaco di Chiaromonte e vicepresidente del Parco Nazionale del Pollino; introdurrà i lavori Carmelo Colelli, direttore del Museo Archeologico Nazionale della Siritide, mentre toccherà all’archeologa Addolorata Preite parlare del “ruolo della donna nella società enotria”. Donna, libera e forte, austera ed amorevole, sin dall’antichità sentinella della casa, cuore ed anima della famiglia e della comunità. L’arte, la storia, la natura, fuse nel tempo, memorie del passato e protagoniste del nostro quotidiano, capaci di plasmare la cultura, da sempre la raccontano. Le stanze del Museo, sotto il cielo eterno, sala dopo sala, ti prendono per mano e ti accompagnano ad incontrare popoli e genti, un orologio della vita che da sempre prende per mano il tempo, animando le culture che prepotentemente scorrono silenti nelle vene di chi queste ed altre terre abitano. Uomini vigorosi e forti, di spade ed intelletto, come Eracle che lotta con il leone di Nemea o di donne, come Atena elmata, sapiente e guerriera, capace di difende e di consigliare, di istruire le donne e di proteggere i fanciulli, frutto di alberi antichi dalle radici robuste e profonde. L’immagine della donna enotria – si legge nel comunicato- restituita dalle sepolture è quella di una figura centrale nella famiglia e nel gruppo sociale di appartenenza, che ostenta il proprio rango con la ricchezza reale espressa dagli ornamenti in metallo e dall’abbigliamento, sicuramente costituito da importanti tessuti ricamati, simili a quelli rappresentati sulle stele femminili della Daunia antica. La condizione della donna enotria, come in gran parte del mondo italico peninsulare al cui interno va compresa la grande koinè adriatico-balcanica- si spiega bene- doveva essere di grande rilevanza. Fin dalla fine del X-inizio IX secolo a.C. nei corredi funerari la donna enotria ostenta grandi ricchezze espresse dalla quantità degli ornamenti in bronzo (diademi, fibule, pendenti figurati), raramente in oro (falere); mentre tra la fine dell’VIII e il VI secolo a.C. la massiva presenza di ornamenti in ambra, pasta vitrea, bronzo e ferro, avorio e talora di gioielli in argento e di preziosi accessori dell’abbigliamento (cinture, grembiuli, stole) intessuti in ambra e pasta vitrea restituisce una immagine principesca della donna elitaria prossima a quella della “regina barbara” delineata da Pier Paolo Pasolini nella sua Medea. L’immagine della “persona” costruita attraverso l’ornamentazione e l’abbigliamento doveva avere un valore identitario riconosciuto dai membri della comunità e dai gruppi circostanti etnicamente affini anche perché basato su credenze e tradizioni magico-religiose, spesso connesse con i miti e i racconti delle origini. Ma gli ornamenti personali delle donne enotrie, l’acconciatura dei capelli o gli accessori dell’abbigliamento oltre ad essere segno di distinzione sociale dovevano essere anche rappresentazione dello status: della condizione di mater o di giovane donna libera. Un viaggio nel tempo, capace di raccontare quelli che siamo, attraverso i sentimenti, le opere, i sacrifici e le emozioni di chi ci ha preceduti, protagonisti vigorosi di una cultura che dovrebbe farci pensare e prendere coscienza di quello che è stato fatto e di quello che oggi, noi, figli di tanta gloria, potremmo ancora fare.
Vincenzo Diego
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