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Legame tra Covid e sindrome di Kawasaki? Ne parliamo con l'assessore regionale (e pediatra) Rocco Leone

30/04/2020



Sta facendo molto discutere l’ipotesi circa un possibile nesso tra il Coronavirus e la Kawasaki, un’infiammazione dei vasi sanguigni (vasculite) che colpisce i bambini e che deve il nome all’omonimo medico giapponese che l’ha scoperta.
L’aumento di casi di sindrome di Kawasaki, registrato in particolare in Piemonte, Liguria e Lombardia, sta cominciando a preoccupare poiché è una patologia piuttosto rara ma in crescita dall’inizio della pandemia.
Ma il legame con il Covid è ancora tutto da dimostrare; inoltre, secondo gli esperti, solo l’1 per cento dei bambini infettati dal virus sviluppa la malattia di Kawasaki.
Questa patologia colpisce prevalentemente neonati e bambini sotto gli otto anni ed i sintomi più comuni sono febbre, congiuntivite, arrossamento delle labbra e della mucosa orale, anomalie delle estremità come mani e piedi, eruzioni cutanee, fino ad arrivare all’infiammazione delle arterie del cuore, che può causare dilatazioni aneurismatiche permanenti delle coronarie.
Abbiamo sentito sulla questione l’assessore Regionale alla Salute Rocco Leone, anche in quanto medico-pediatra, per chiedergli cosa ne pensi e per fare il punto sull’emergenza sanitaria in Basilicata.


Assessore, temete che il problema legato alla Kawasaki possa interessare anche la Basilicata?
Da pediatra devo dire che la Kawasaki la conosco bene e mi è capitato anche di diagnosticarla. È una vasculite che interessa le coronarie, provocando dilatazioni. È una malattia che abbiamo iniziato a conoscere negli ultimi 15 o 20 anni. Ma parliamo di una patologia rara.

Cosa pensa di questo presunto legame con il Covid?
In tempi non sospetti, parlandone al mio direttore del Dipartimento, avevo detto che il Coronavirus è simile alla malattia di Kawasaki perché colpisce i vasi sanguigni. A testimonianza di questo, nei bambini che sono stati infettati dal Covid, vengono colpiti i vasi sanguigni degli arti inferiori, più che altro dei piedi, in cui si formavano come dei geloni. Ma la possibilità che ci sia una correlazione diretta tra Coronavirus e malattia di Kawasaki, è tutta dimostrare. Al momento, in tal senso, ci sono solo delle ipotesi. Come pediatra, di casi di Kawasaki, in tanti anni ne avrò diagnosticati appena una decina ma parliamo di una patologia che, se diagnosticata entro il sesto giorno, risponde molto bene ad una terapia con immunoglobuline per endovena, tanto da evitare effetti collaterali coma la ectasia delle coronarie.

Per cui, nonostante i casi nel nord Italia siano in aumento, non è una malattia che la preoccupa particolarmente?
Non è che non mi preoccupi: mi preoccupa il fatto che è necessario che la sindrome venga diagnosticata in tempo. Ma se mi viene chiesto della possibile relazione con il Covid dico da tempo che, come patogenesi, sono due malattie che si somigliano ma che tra loro ci sia un legame diretto è ancora tutto da dimostrare.

Dopo tre giorni consecutivi senza nuovi contagi, oggi ne abbiamo avuto solo uno. Possiamo dire che la Basilicata stia uscendo dal tunnel oppure è meglio rimanere prudenti?
Dobbiamo sempre incrociare le dita, ma il nuovo caso di Pomarico, e mi rivolgo a chi sostiene che non andiamo a ricercare i portatori sani, è venuto fuori proprio grazie al lavoro di prevenzione che stiamo facendo e che prevede di fare i tamponi nelle case per anziani e nelle case famiglia. Questo nuovo caso fa riferimento proprio ad un’operatrice asintomatica, scoperta durante uno screening in una casa famiglia.

Considerando l’ultima ordinanza di Bardi e visti i dati, è auspicabile che la Basilicata, rispetto a un ritorno alla normalità, possa essere una delle Regioni apripista?
A quanto sembra abbiamo azzerato l’epidemia, ma noi vogliamo essere assolutamente prudenti onde evitare un “effetto rimbalzo”. Stiamo anche studiando le modalità per rilanciare la Basilicata nel panorama nazionale del turismo, ma sempre in condizioni di massima sicurezza. Stiamo valutando delle ipotesi, che illustreremo appena si saranno tradotte in qualcosa di concreto.

Che il quadro generale lasci ben sperare, almeno questo possiamo dirlo?
Sì, il quadro generale lascia ben sperare. Io voglio ribadire il concetto che i lucani sono stati bravi ma anche noi abbiamo lavorato bene. La scoperta dei focolai in RSA per anziani è stata fondamentale, basta guardare i dati a livello nazionale e internazionale per rendersi contro che il 50 per cento delle vittime affette da Coronavirus si è verificato proprio in questo tipo di strutture, mentre da noi, nelle RSA, non è morto nessuno proprio grazie al grande lavoro di prevenzione che abbiamo portato avanti.

Non crede che, all’inizio dell’emergenza, in Basilicata il problema sia stato rappresentato dalle richieste di tamponi che però non venivano effettuati, con tutte le polemiche che ne sono seguite?
Allora, qui bisogna chiarire un punto: il Ministero della Salute aveva fornito delle indicazioni circa i casi in cui effettuare il tampone ed a chi. I medici si sono attenuti esattamente a queste indicazioni, che erano rigorose. Se andate a rivedere una delle prime conferenze stampa dell’Unità di crisi a livello nazionale, venivano individuati coloro i quali dovessero fare i tamponi in chi veniva da fuori o chi avesse avuto contatti con infetti. Il criterio epidemiologico era quello sul quale si basava il tutto. Questo, chiaramente, ha condizionato gli operatori sanitari che, ripeto, si sono attenuti scrupolosamente alle indicazioni del Ministero della Salute.


Gianfranco Aurilio
Lasiritide.it



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