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Recensione:“Austerità ci fa crescere ,L’ Austerità è soluzione” di V.De Romanis

1/07/2017

Il libro di Veronica De Romanis “Austerità ci fa crescere , L’ Austerità è soluzione” di 160 pagine, edito da Marsilio, ed acquistabile al prezzo di 16, euro mette in rilievo che l’esperienza di molti paesi dimostra che, come ha ricordato il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi in un’intervista rilasciata in piena crisi, “non tutti i programmi di austerità sortiscono lo stesso effetto sulla crescita” Molto dipende dal modo in cui vengono realizzati. Secondo Draghi, da una parte c’è un’austerità “buona”, che ha un impatto espansivo e prevede meno tasse, una ricomposizione della spesa verso investimenti e infrastrutture, ed è sostenuta da un piano di riforme strutturali. Esiste poi un’austerità “cattiva”, che è recessiva perché aumenta molto le tasse e riduce di meno la spesa corrente (per intenderci, il comparto che finanzia la macchina dello Stato e va dagli stipendi dei dipendenti pubblici ai costi per le auto blu). Il problema è che questa austerità “cattiva” tende a prevalere, perché politicamente meno impegnativa: è sufficiente un tratto di penna per alzare le tasse, mentre diminuire le spese significa esporsi a lunghe e sfibranti negoziazioni con centri di interesse organizzati ed influenti, andando incontro a un’inevitabile perdita di consenso – almeno nell’immediato. Non stupisce, quindi, che governi tecnici privi di un forte mandato elettorale, come quello di Mario Monti nel 2011, abbiano fatto ricorso proprio alla versione “cattiva”. I paesi che negli ultimi cinque anni hanno messo in atto politiche di austerità “buona”, e hanno tagliato le spese improduttive, nel biennio 2015-2016 crescono: l’Inghilterra supera il 2%, la Spagna il 3%, l’Irlanda il 15%. L’Italia, che ha invece incrementato la spesa, è ferma allo 0,8%. Qualsiasi ragionamento su dati oggettivi diventa comunque difficile qualora il rigore venga percepito come un’imposizione dall’esterno e non come una scelta degli Stati nazionali. Ecco il terzo pregiudizio da sfatare: non c’è leader politico che non cerchi di scaricare le colpe su un nemico altro, preferibilmente l’Europa, e soprattutto sulla Germania. A dire il vero, l’austerità non è che il risultato di decisioni adottate dai governi: quelli passati, che con le loro misure fiscali, l’hanno resa inevitabile, e quelli attuali, che, con le loro scelte sul la composizione dell’intervento, ne determinano gli effetti recessivi o espansivi Quando si è vissuto per molto tempo al di sopra dei propri mezzi, “all’austerità non
c’è alternativa” , come sostiene sempre Draghi. Continuare ad accumulare debito
non è una strada percorribile: arriva un momento in cui la fiducia degli investitori viene meno, perché temono di non poter essere rimborsati, e, di conseguenza, smettono di comprare titoli di Stato. A quel punto, senza più l’accesso ai mercati, non resta che rivolgersi ai partner europei. È ciò che hanno fatto Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro quando sono entrati in crisi. A fronte dell’assistenza finanziaria i creditori hanno chiesto loro, da un lato, riforme per far ripartire l’economia, dall’altro, un piano di consolidamento per mettere in sicurezza i conti pubblici.
D’altronde, se i governi rispettassero le norme fiscali che, è bene ricordarlo, hanno tutti discusso, concordato e sottoscritto , e pertanto tenessero i conti in ordine, il debito non si accumulerebbe e dell’austerità non ci sarebbe bisogno. Sono, però, proprio gli iscritti al partito dell’antiausterità a chiedere di derogare alle suddette norme e a invocare “flessibilità”, ossia un’interpretazione più morbida dei paletti esistenti, in base alla logica che spesa pubblica finanziata con maggiore disavanzo, rispetto ai target fissati con Bruxelles – possa far ripartire l’economia.



Biagio Gugliotta



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