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Leonardo Sinisgalli e la sua Basilicata in un incontro a Rionero in Vulture

11/06/2017

“Mi ero convinto che c’è una simbiosi tra intelletto e istinto, tra ragione e passione, tra reale e immaginario. Ch’era urgente tentare una commistione, un innesto, anche a costo di sacrificare la purezza”: così parla Leonardo Sinisgalli, in un’intervista a Ferdinando Camon del 1965, mentre racconta della nascita della sua rivista “Civiltà delle Macchine”; “la cultura dell’Occidente era rimasta incredibilmente arretrata e scettica nei confronti della tecnica, dell’ingegneria. […] Io volevo sfondare le porte dei laboratori, delle specole, delle celle” [Cfr. G. Lupo, G. Lacorazza, “L’anima meccanica, Le visite in fabbrica” in «Civiltà delle Macchine» (1953-1957), Avagliano editore; ndr]. Progetto ambizioso la sua “Civiltà delle Macchine”, rivista aziendale della Finmeccanica: un vero e proprio strumento di divulgazione culturale – come le altre riviste da lui dirette per importanti aziende italiane, come la Olivetti o la Pirelli – dove la macchina e l’ingegneria, dal punto di vista esclusivamente tecnico, si legano alla poesia e all’arte, fondendo così Scienza ed Umanesimo. “Un fatto eminentemente letterario”, come Dino Buzzati gli scrisse in una lettera, che Sinisgalli pubblicò in un ‘Semaforo’ del primo numero del 1956. E nel senza tempo Palazzo Fortunato di Rionero in Vulture, la poliedrica figura di Leonardo Sinisgalli e la sua Basilicata, raccontata nella rivista, hanno avuto modo di rivivere con entusiasmo grazie ad un eccellente tavolo di lavoro: dopo i saluti istituzionali, ai quali si sono aggiunti quelli del Presidente Cineclub “Pasolini” di Barile e della Pro Loco di Rionero, si sono susseguite le relazioni di Armando Lostaglio, critico cinematografico, e dei due curatori del volume, Gianni Lacorazza e Biagio Russo; in un crescendo culturale moderato dal giornalista Rocco Brancati.
“Civiltà delle Macchine” come una rivista fondamentale che ha segnato un’epoca; come punto di forza dell’attività intellettuale di Leonardo Sinisgalli; ed il libro curato da Russo e Lacorazza vuole essere un lavoro antologico di conoscenza e di divulgazione di massa, un’analisi approfondita di alcuni aspetti di questa rivista, primo fra tutti quello rappresentato dalla terra di Basilicata: erano gli anni ’50 e “Civiltà delle Macchine” concretizzava la Basilicata, la rendeva vivo punto di riferimento del Meridionalismo; mentre veniva etichettata da Matera “vergogna d’Italia” e dalla malarica arretratezza culturale, sociale ed economica descritta nell’opera per antonomasia di Carlo Levi. Ma la poliedricità di Sinisgalli – questa figura innovativa, quasi mitologica, che passa per Levi e Scotellaro – fa sì che si arrivi al riconoscimento di questa identità, tanto da divenire simbolo vivo di questa regione. E questo perché “Civiltà delle Macchine”, con i suoi intellettuali (si pensi a Moravia, a Ungaretti, a Gadda, a Ferrata) anche e soprattutto lucani, raccontava la Basilicata; raccontava la “lucanità” in quella stretta relazione che vi era tra uomo, macchina ed industria e lo faceva in quella fervida stagione in cui i più grandi industriali (come Mattei o Olivetti) si servivano degli intellettuali. Ed è in questa epoca d’oro che Leonardo Sinisgalli mostra all’Italia, quanto al mondo, il suo essere fil rouge tra Scienza ed Umanesimo, tra Letteratura e disciplina scientifica: da lucano, lui porta la matematica, la geometria, all’interno della poesia; e, contemporaneamente, la poesia, l’arte, nella Scienza. Con il suo amore per la Scienza e la Parola, per la Bellezza e la praticità, Leonardo Sinisgalli ha saputo fondere culture apparentemente lontane; sempre con uno sguardo a Sud, alla sua Basilicata, al suo essere e voler essere lucano. Ed è quella “simbiosi tra intelletto e istinto, tra ragione e passione” che ha mosso la sua curiosità, il suo agire; tutto ciò che Sinisgalli, partendo da Montemurro, è diventato. Quel 1953, anno in cui la rivista viene da lui fondata, rappresenta una vera e propria presa di coscienza: dopo il trauma emotivo legato alla morte del padre e del suo amico Rocco Scotellaro, la “rivista delle due culture” divenne non solo un profondo ed inestinguibile “giacimento culturale”, ma anche forte appello alla propria identità: un lucano che non ha mai dimenticato le sue origini, le sue radici e che da quei valori lucani ha fondato tutto il suo lavoro. Oggi, è grazie alla “Fondazione Leonardo Sinisgalli” e al suo incessante impegno – anzitutto con gli studenti, non solo lucani – che l’estro, l’opera del “poeta-ingegnere” vivono tenacemente e contribuiscono a quella “lucanità” motivo di orgoglio.

Marialaura Garripoli



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