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A Venosa un viaggio alla scoperta dei dialetti lucani |
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14/05/2017 | “I dialetti della Basilicata, bene culturale immateriale inestimabile”: questo il titolo che la FIDAPA di Venosa ha scelto per il suo viaggio alla riscoperta dei dialetti lucani. Nella Sala del Trono del Castello Pirro del Balzo – alla presenza del Sindaco, Tommaso Gammone; della Presidente della Sezione FIDAPA di Venosa, Anna Gurrado e del Presidente del Consiglio Regionale, Francesco Mollica – la prof.ssa Patrizia Del Puente, docente di Glottologia e Linguistica presso l’Università di Basilicata, ha restituito quello che è il tesoro linguistico di questa regione culturalmente vasta. Non un solo ed unico dialetto, bensì una serie di lingue diverse e diversificate, testimonianza della storia di una regione e dei popoli che l’hanno abitata. Già nel 2004, l’UNESCO ha fatto dei dialetti un bene culturale immateriale di gran valore, poiché le parole custodiscono la Storia; salvaguardare le lingue – come ha rimarcato la prof.ssa Del Puente – significa salvaguardare ciò che noi siamo: da qui, l’importanza di approcciarsi consapevolmente al dialetto fino a farne oggetto di studio nelle scuole. Non a caso, il progetto A.L.Ba. (Atlante Linguistico della Basilicata) – progetto fortemente voluto dalla facoltà di Lettere e Filosofia e dal dipartimento di studi letterari e filologici dell’Università degli Studi della Basilicata, sostenuto e finanziato dalla Regione Basilicata attraverso i fondi sociali europei – si propone di inserire il dialetto all’interno di alcune scuole-pilota della Basilicata: “il dialetto – come detto dalla prof.ssa Del Puente, in occasione della presentazione del progetto – assume la dignità di lingua perché racconta la propria storia, le proprie origini, la propria cultura. Conservare i dialetti significa salvare una memoria e una cultura nelle quali il popolo si riconosce”. Per molti decenni, la Basilicata non ha avuto esistenza a livello linguistico e questo perché confusa (spesso ancora oggi) tra il pugliese ed il campano; una terra di mezzo che non possedeva alcuna autorevolezza linguistica. Eppure – anche grazie alle importanti strade dalle quali era attraversata (si pensi alla più prestigiosa, la Via Appia), nonostante fosse considerata impenetrabile – la Basilicata ha sempre occupato una posizione “strategica”, crocevia tra Oriente ed Occidente; nel tempo, questo ha fatto sì che la regione producesse ed esportasse cultura linguistica e, contemporaneamente, incubasse un’incredibile varietà lessicale. Tanto diversi quanto peculiari sistemi vocalici hanno reso la Basilicata l’unico territorio ad avere una caratterizzazione linguistica così eterogenea: aree territoriali che hanno visto colonie gallo-italiche (Potenza, Picerno, Tito, etc.); colonie arbëreshe (Barile, Ginestra e Maschito per l’area del Vulture; San Paolo Albanese e San Costantino Albanese nella zona meridionale della regione); colonie rom (come quelle di Melfi e Lauria), derivanti da un’antica cultura indiana; e persino una colonia marchigiana (nella zona di Monticchio), mentre nell’area meridionale della regione si può incontrare un vocalismo uguale a quello presente in buona parte del territorio sardo. La lingua, quindi, come prova tangibile della cultura e della storia di popoli; la lingua come “documento”, tanto da essere oggetto di studio delle principali Università europee (tra cui Cambridge, Oxford, Stoccolma, Milano e Pisa) che si sono strette attorno al progetto A.L.Ba: l’unico atlante con carte tematiche, oltre a quelle lessicali, che ha confermato la Basilicata come prima regione italiana ad avere un centro internazionale di dialettologia.
C’è una lingua che oggi ci unisce e ci rende unitari – come ha sottolineato il Presidente del Consiglio Regionale, Francesco Mollica – ma non c’è lingua senza dialetto: patrimonio e bene comune da conservare, preservare, farlo proprio in quanto marchio d’identità.
Marialaura Garripoli
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