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'Via Appia,Regina Viarum',un convegno promosso dall'Archeoclub Venosa e Melfi |
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4/05/2017 | “[…] ed è anche colpa di Orazio se sono qui, se ho scelto questa via e non altre. Lo sento che mi sussurra all’orecchio: ‘Vecchio mio, lascia perdere le pietre… fa’ che sia la strada a narrarsi’. E vada così: cercheremo la Linea […]”. Così il giornalista e scrittore Paolo Rumiz ci restituiva, lo scorso anno, il suo cammino lungo l’Appia, la Regina di tutte le vie. E “Via Appia – Regina Viarum”, più che un imponente progetto, vuole essere un vero e proprio percorso che ci porti a riscoprire e a capire appieno questo “monumento” vivente, ancora tangibile. Organizzato dall’ArcheoClub - sezioni di Venosa e Melfi – con il contributo vivo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Regione Basilicata; delle Università di Basilicata e Foggia, dei Comuni di Melfi e Venosa, dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali (IBAM) all’interno del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) –, con lo scopo di rendere pubblici lo studio, il recupero e la valorizzazione della Via Appia, queste convegno ha voluto dare respiro lucano a quello che il Ministro Dario Franceschini ha definito “un grande progetto nazionale”. Prendendo il nome dal censore Appio Claudio che la volle quale strumento di futura romanizzazione ed essendo cammino verso la Grecia e soprattutto porta d’Oriente – definita dagli autori latini anche “nobilis”, “insignis” e “celeberrima” – fu simbolo per eccellenza della romanità; seconda, forse, soltanto al Colosseo: non una semplice strada, bensì un’opera umana degna della Storia. Partendo dall’Urbe, attraversando la Campania e la Basilicata fino ad arrivare a Brindisi, quale prima arteria stradale (rimasta base della moderna rete stradale) è stata in grado di mettere in collegamento popolazioni e culture differenti; vero e proprio collante tra le differenze sociali, culturali e religiose. Un progetto strategico, quello del recupero della Via Appia, tanto per l’identità italiana quanto per quella delle quattro regioni che ne sono attraversate: un viaggio di piedi e gambe che vuole camminare, per oltre 600 Km, al fianco del viaggio storico-fantastico che ogni viaggiatore può fare. “La via Appia – aveva dichiarato il Ministro Franceschini nel 2015, quando nacque l’idea progettuale – unisce territori in cui non arrivano turisti stranieri, rivaluta il Mezzogiorno, recupera un patrimonio archeologico unico. […] per il turismo sostenibile, lento, di rivalutazione dei luoghi meno conosciuti […] E l'Appia tiene insieme tutte queste cose”: ed è proprio sulla valorizzazione del patrimonio storico-naturalistico e sul turismo esperenziale che si sono fondati i 20 milioni di euro di finanziamento da parte del MIBACT (oltre ai Fondi PON FESR Cultura e Sviluppo 2014-2020), per infrastrutture, segnaletica, punti di sosta e per la creazione di un’app geo-culturale con lo scopo di segnalare le tappe giornaliere (20 Km), l’accesso ai percorsi digitali, i beni culturali che si possono incontrare lungo il cammino, la segnalazione di servizi e la segnaletica: un modo concreto per valorizzare il territorio, con i suoi paesaggi ed i suoi beni culturali, dove ciascuno di noi – come ha scritto Rumiz – può portare avanti quel compito di “restituire alla Res Publica questo bene scandalosamente abbandonato, ma ancora capace – dopo ventitré secoli – di riconnettere il Sud al resto del Paese e di indicare all’Italia il suo ruolo mediterraneo”. Ecco che i cammini diventano filiere cognitive, motori di sviluppo economico e socio-culturale di un territorio; partendo dal vero, reale e concreto significato della strada, per fare Cultura in modo diverso, per fare Futuro (specie in questa regione) in modo diverso.
E la Via Appia è questo: racconta l’identità di un grande popolo, di un Paese; racconta l’incontro, l’avvicinamento della cultura romana a quella greca e a quella orientale; affonda, nella terra, quelle che sono le radici della civiltà europea-occidentale. Possiamo ritornare sui passi della Storia, dell’Identità; un’occasione per il Sud che può e deve ritornare a battere la sua terra, ma solo ad una condizione: quella oraziana, “con piede libero”.
Marialaura Garripoli
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