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Incontro con Roberto Vecchioni a Venosa tra gli studenti del Certamen Horatianum

23/04/2017

«I Greci, i fuochi e l’infinita guerra li vidi ad uno ad uno, mentre aprivano la mano e mi mostravano la sorte»: richiamano la mitologia omerica alcuni versi de “L’ultimo spettacolo”, pezzo contenuto nello storico album Samarcanda del 1977. Omero, Euripide, Sofocle; il mito, la cultura e la tragedia greca, quello che insegnano a distanza di secoli ed il cantautore-scrittore-professore. Compostezza e fiumi di parole, in un viaggio a ritroso – ripercorso all’interno del Cine-Teatro Lovaglio – in occasione del “XXXI Certamen Horatianum” dell’I.I.S.S. “Quinto Orazio Flacco” di Venosa, mentre lui ci parla anche del suo “mercante di luce”. Un incrocio tra Vita e Morte, tra voglia di vivere e paura di morire: è la storia di Stefano Quondam Valerio (un nome che racchiude in sé una profonda allegoria), professore di letteratura greca, e di suo figlio Marco, affetto da “una di quelle malattie che non illudono”, una patologia degenerativa. Marco invecchia con una progressione (consapevole) di otto anni in uno; ne ha diciassette, ma ne dimostra ottanta. Mentre suo padre è un uomo dai tanti difetti, dalle tante sconfitte; ma che si sforza nel voler lasciare al figlio “un dono, il più grande possibile, oltre la felicità o l’infelicità, l’amore e il disamore, il destino o Dio” : la cultura greca, con la sua tragedia, la sua crisi e la sua catarsi. Perché “i greci non pregavano nei templi, non si salvavano nei templi, ma a teatro” . La parola al grande Roberto Vecchioni.

Un invito alla riscoperta della cultura classica, per Lei professore di greco e latino: qual è il ruolo dei Licei, oggi? Riescono ad alimentarla questa riscoperta?
Io credo sia difficile, oggi; difficilissimo, perché il mondo è inclinato verso altri obiettivi: ad avere tutto e subito e presto. Non vi è nessuna cultura per i ragazzi in questo; si danno loro soltanto dei mezzi per sopravvivere che, purtroppo ma per certi aspetti, sono anche necessari. Abbiamo pochissimo spazio per dare loro delle fondamenta, ma senza cultura non si va da nessuna parte… su questo bisogna riflettere, bisogna pensarci su.

Qual è l’insegnamento più forte che ci viene dai Greci? E cosa, oggi, non riusciamo ancora a comprendere?

La perseveranza, il coraggio; il non abbattersi, la fede e il credere fortemente in qualcosa. Conoscere e riconoscere quelli che sono i veri valori, differenziando quanto è fittizio da quanto invece conta davvero.

“Io sono là nelle parole greche, dove la fine è il principio, il silenzio l’insieme di ogni voce”: in “Esodo” canta l’”Edipo a Colono” di Sofocle: una riflessione sull’incontro col proprio destino?

L’”Edipo a Colono” era anche un testamento di Edipo, che dice ‘ho vissuto tutti i possibili ed immaginabili dolori, ma alla fine c’è sempre una luce’. E questo è ne “Il mercante di luce”: “non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro”… e Quondam capisce che quella bellezza che vuole trasmettere al figlio c’è l’ha dentro di sé ed è quella per cui ha vissuto.
“Chiudi gli occhi, ragazzo, e credi solo a quel che vedi dentro; stringi i pugni, ragazzo, non lasciargliela vinta neanche un momento” . Possono i giovani d’oggi ancora sognare?

Io penso di sì… “Sogna, ragazzo, sogna” è una canzone che non ha un’età; è del ’99, ma non ha assolutamente un’età. Il sogno è una cosa che, per fortuna, continuerà sempre ad esistere; basta crederci ed avere vicine le persone che sognano con te.

Oggi, 22 Aprile, è la Giornata Mondiale della Terra. Per l’antica Grecia, la Natura era la manifestazione estetica degli dei; noi come ci comportiamo nei riguardi del Pianeta?
Ah, noi ci comportiamo malissimo! L’Italia, poi, non parliamone: costruiamo ovunque, buttiamo giù alberi ovunque; non abbiamo alcun rispetto per quella che è la nostra Natura e la nostra Vita… ed anche su questo dovremmo fare una lunga riflessione.


Marialaura Garripoli



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