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Ottavia Piccolo nei teatri della Basilicata. 'Usiamo la parola: ascoltiamoci'

19/02/2017

Un mistero velato, ambiguo, profondo. Un thriller psicologico ambientato vent’anni dopo il travolgente abbattimento di quel muro che ha diviso una città, una nazione, il globo intero. Siamo a Berlino e l’automobile di Jacob Hilder travolge accidentalmente Hingrid Winz sulla sua bicicletta: un apparente e casuale incidente tra due estranei, che va snodando – minuto dopo minuto – un legame inaspettato. E la scritta di apertura, sullo sfondo, annuncia: “in ognuno dei segmenti, uno dei due personaggi o tutt’e due mentono sapendo di mentire”; tanto che, in un crescendo sempre più intenso, si arriva ad una vera e propria inversione di ruoli. Mentre la Storia segna indelebilmente la carne di ogni essere umano. “Enigma - Niente significa mai una cosa sola” di Stefano Massini – con Ottavia Piccolo e Silvano Piccardi, che ne firma anche la regia – arriva a Venosa, presso il Cine-Teatro Lovaglio, dopo Francavilla in Sinni ed Oppido Lucano. Ne parliamo con l’attrice Ottavia Piccolo.
Ancora una volta, Lei torna in Basilicata... Quanto è importante il Teatro nei “piccoli” territori, nella “periferia”?
Ho sempre pensato che il nostro lavoro fosse importante e, in certi momenti, necessario. In questi giorni, in Basilicata, abbiamo fatto tre tappe; ho visto il programma – peraltro, molto bello – portato avanti dal Consorzio Teatri Uniti ed ho visto che c’è una voglia, una fame di qualcosa che sia diverso dal subire le scelte della televisione. È un lavoro necessario sì, ma non è una concessione che noi artisti facciamo: noi non portiamo la cultura alle popolazioni disagiate; è, invece, un discorso di collaborazione con un pubblico che esiste, che sarebbe pronto a fruire di molte più iniziative di quante già non se ne facciano, ma che per certi aspetti è penalizzato come buona parte del nostro Paese. È da tantissimi anni, ad esempio, che non vado a Matera; ho saputo che non v’è più il teatro ed è paradossale per la Capitale Europea della Cultura. Mancano i luoghi adatti, giusti per questo tipo di arte… e allora, ti viene da pensare che la colpa sia di tutto il sistema; ma anche chi dovrebbe occuparsi della crescita culturale del nostro Paese tende a dimenticarlo. Tutto questo provoca rabbia, perché ci sono teste e cuori per essere un Paese normale; invece, ci fanno rimpiangere altre situazioni. Tutte le volte che incontriamo il pubblico, sentiamo quanto questo sia pronto e preparato; e questo perché la media del pubblico italiano è molto più alta di quello che vogliono farci credere. Il teatro è anche quel luogo dove la gente può accrescere la propria cultura, la propria partecipazione.
Un incontro, quello dei personaggi di “Enigma”, vent’anni dopo quel 9 Novembre 1989. La caduta del Muro di Berlino è stato un momento di riconquista della libertà ma, al tempo stesso, ha fatto perdere certezze e sicurezze; oggi, invece, i muri li ricostruiamo… lo facciamo per recuperare quelle “garanzie” perse?
Questa voglia odierna di ridividersi, di dire ‘noi qua, voi là’ – perché, poi, è tutta una questione di territorio – è una chiusura insensata ed antistorica. Da sempre le popolazioni si sono mosse… certo, è un problema oggettivo che innesca – purtroppo, in un Paese come il nostro – una guerra fra poveri; ma se realmente facessimo un esame di coscienza, potremmo capire che c’è posto per tutti. Le due storie – quella teatrale e quella reale – sono diverse ma, proprio perché oggi costruiamo muri, sentiamo sempre di più quanto le certezze vengono a mancare: anche noi oggi, come i personaggi di Massini, siamo persone che non hanno più punti di riferimento, che sono come su una zattera sperando di arrivare da qualche parte: ed è vero perché le nostre certezze – che potevano essere politiche o anche solo economiche – vanno dissolvendosi. Apparentemente, questo testo parla di cose che non ci riguardano; invece, parla di noi: i due personaggi sono due persone che, non per colpa loro, hanno sprecato la loro vita e che si trovano a chiedere l’una all’altro ‘che ci faccio qui’?
Il Passato che ritorna, anche nell’incontro di questi due personaggi apparentemente estranei; un ‘prima che pesa cento volte più del dopo’…
Noi parliamo di un luogo e di un passato preciso: quello della Germania Democratica; Berlino Est e la Germania. Nel meccanismo che Massini ha inventato, anche chi non sa cosa succedeva in Germania, man mano riesce a capirlo. E capiamo che queste due persone, come tutti noi, sono condizionate dalla Storia, dal momento e dal luogo in cui nasciamo e viviamo: c’è la Storia nelle vite dei personaggi che raccontiamo; personaggi che, da un certo punto in poi, per quello che succede con la caduta del Muro e l’unificazione, non riescono più a capire, non riescono più a mettere in contatto il loro Passato con il loro Presente; e questo perché il loro Passato viene considerato inesistente, come se non avessero mai vissuto. Quando ho letto questo testo di Massini, ho pensato ai miei genitori: in tutt’altro contesto storico, hanno visto la nascita del fascismo e sono cresciuti col fascismo… e se, in quel tempo, tu non eri di una famiglia con idee diverse o ‘culturalmente attrezzato’ a capire cosa oggettivamente stava succedendo, quello era l’unico modo in cui potevi vivere poiché era l’unico modo che tu conoscevi; non c’era altro e quello che ti diceva l’autorità costituita era la verità. Caduto il fascismo, non è vero niente: tutto quello che tu hai vissuto, non era vero, non c’era. Massini fa del personaggio di Ingrid un’insegnante di Storia: ma la Storia che lei ha insegnato fino ad ora non esiste più, non era più vera: questo significa azzerare tutto quello che hai pensato e vissuto fino a quel momento. E di fatti, ancora oggi, nella Germania dell’Est c’è questa ‘ostalgia’, che è il dolore per l’Est: gente che si ritrova in luoghi in cui a vicenda ci si chiama ‘compagno’; dove c’è tutta la memorabilia del periodo e la gente sta lì perché tutto quello le dà una specie di sicurezza sul proprio Passato altrimenti inesistente. Questo fa parte di un enigma che Massini centellina in dieci frammenti e che costruisce un meccanismo interessante, un ingranaggio perfetto.
L’enigma è un quesito misterioso, criptico; qualcosa che va svelato. Anche questo “Enigma” ha una soluzione?
L’enigma dei personaggi e del perché si comportano in un certo modo viene svelato, alla fine: questo è l’enigma, quello del gioco teatrale, che si risolve. Ma l’enigma, denunciato dal personaggio di Jacob Hilder, è anche quello di quanto accade intorno, nella realtà, e non trova spiegazioni; un enigma irrisolvibile, perché è l’enigma esistenziale dei due personaggi, che coincide con una grandissima disperazione.






Quale può essere il ruolo della parola per evitare il clima di paura, ostilità, incertezza di questa contemporaneità?
Lo sapessi, avrei risolto! Noi ci proviamo: il teatro è un luogo dove noi proviamo a unire delle energie; ma questo vale anche per i libri, la musica, il buon cinema, la buona televisione. Comincio ad avere un’età in cui, in alcuni momenti, mi ritrovo senza speranze: vorrei ritirarmi nel mio guscio e non occuparmi più di quello che c’è intorno. Quando avevamo vent’anni, pensavamo che il mondo sarebbe migliorato ed invece è solo peggiorato… e così ci si domanda dov’è che abbiamo sbagliato. Oggi, intorno, abbiamo solo macerie; macerie ideologiche, fisiche… ma, in fondo, gli esseri umani sono proiettati verso il futuro; così ci si ritrova a pensare che alla fine le cose miglioreranno. Usiamo la parola: parliamoci, ascoltiamoci.

Marialaura Garripoli



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