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“ Bianco su nero” di Rubén Gallego, Adelphi 2004. Recensione di Mario Coviello

18/11/2016

“Capita che mi chiedano se quel che scrivo è successo davvero. Se i protagonisti dei miei racconti sono reali.
Rispondo che sì, sono cose vere, personaggi reali; più che reali. Certo, i miei personaggi sono prototipi collettivi dell'infinito caleidoscopio dei miei infiniti orfanotrofi. Ma quel che scrivo è la verità.”
Dopo un intervento chirurgico al menisco ,costretto a stare in casa, ho cercato libri che avevo comprato e non ancora letto e ho riscoperto “ Bianco su nero” di Rubén Gallego, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2004. Mi ha colpito l’eleganza severa del blu della copertina e la foto su uno sfondo bianco di un bambino ritratto a metà. O meglio sono stato attratto da un occhio triste che mi scrutava. Mi sono immerso nelle 187 pagine del libro e sono stato costretto ad accostarmi alla storia di questa esistenza a piccole dosi:troppo dolore, sofferenza,la determinazione di farcela comunque.
“ Bianco su nero” è il racconto in prima persona in 42 brevi, secchi capitoletti di Rubèn Gallego nipote di Ignacio, segretario del partito comunista spagnolo, esiliato a Mosca. Ruben, frutto della relazione della madre con un venezuelano, nasce nel 1968 a Mosca da parto gemellare. Parto difficile: il primo gemello muore quasi subito e lui è colpito da una paralisi cerebrale che gli impedirà l’uso delle mani e delle gambe per tutta la vita. Solo un dito della mano sinistra sarà in grado di compiere dei piccoli movimenti ed è con questo dito che riuscirà a scrivere e a consegnarci la storia della sua vita. Il regime comunista dell’ex URSS, che esalta il mito dell’uomo nuovo e dichiara di muoversi verso un radioso futuro, rinchiude in orfanotrofi e ospizi quelli come Ruben che sono considerati impresentabili per la società. Tolto a un anno e mezzo alla madre che lo crede morto, riesce a sopravvivere a 14 anni di sofferenze perché come scrive “ Sono un eroe. E’ facile essere un eroe. Se non hai né braccia né gambe, o sei un eroe o sei morto….Se non hai né braccia né gambe e hai pensato bene di restare solo al mondo è fatta. Sei condannato ad essere un eroe sino alla fine dei tuoi giorni. O a crepare. Io sono un eroe. Non ho altra scelta”.
Rubén Gallego sopravvive ad continuo pellegrinaggio da un orfanotrofio all’altro fino al ricovero in un ospizio da dove riesce a scappare durante il movimentato periodo della “ perestroika” .Nel libro ci racconta il suo tempo infantile e adolescenziale vissuto sentendosi continuamente ripetere di essere un carico gravoso per la società, un essere senza speranza e senza un futuro. Ruben riesce a resistere cercando di non abbattersi e di lottare per “salvarsi” con la scrittura, “nero su bianco”, al computer,con il solo dito che può muovere.
Nell’era dell’apparenza in cui essere belli, magri e preferibilmente ricchi è la cosa più importante per avere diritto alla felicità, è difficile presentare la cruda realtà, offrirsi come non invidiabile esempio di tutto ciò che non si vorrebbe mai essere, come modello dissonante d’irregolarità che è preferibile nascondere, rinchiudere in istituto, e mostrare poi, senza mezzi termini, quanto possa essere fragile il confine che separa il vivere dal morire, quando si è costretti a dipendere da una volontà che non è soltanto tua, ma che sei costretto a dividere con quella di qualcun altro.
In questo tempo di “ muri”, di immigrati che continuano a morire nelle nostre acque, di paure e barricate, con coraggio chi crede nella forza della civiltà, dell’accoglienza, della ricchezza del diverso, deve leggere “ Bianco su nero”. Lo deve leggere perché Rubén Gallego nella prefazione che si intitola “ La forza e la bontà” ci dice “ Io scrivo del bene,scrivo di vittorie,gioie e amore. Scrivo della forza. Della forza fisica e spirituale. Della forza che è in ciascuno di noi. Della forza che supera qualsiasi barriera e vince. Ogni mia storia è la storia di una vittoria. “
Ed è così in fondo. Ruben si definisce nella prima storia “L’eroe” e le inservienti, i direttori, gli insegnanti, i compagni di Ruben, il cane con tre zampe,il ritardato, il tedesco, la spagnola, il matto, Babbo Natale, la peccatrice, l’ufficiale, sono tutti eroi che gridano la voglia di cibo, di libertà di muoversi, di andare da soli in bagno, di vedere il cielo, gli alberi, di ascoltare musica, di godere un’allegria rubata. Intenso e pieno di ironia, il suo diario, frammentato in tanti episodi, è costellato di volti di tanti come lui, denso di storie umane e toccanti all’interno di un sistema che di umano ha veramente poco.
E nel suo libro, espone la realtà dei fatti nuda e cruda senza soffermarsi su nessun particolare che possa destare sentimenti di orrore mettendo anzi l’accento soprattutto sugli episodi illuminati da lampi di solidarietà e fratellanza, di altruismo e tolleranza, indispensabili elementi di sopravvivenza e, sovvertendo la comune rappresentazione del bianco e del nero della vita, ci trasmette tutto il suo coraggio insieme a quello di tutti i veri eroi nascosti a cui, nel suo scritto, regala voce e visibilità.
Intelligentissimo e colto, studioso e “lettore di molti libri”, eccellente mente matematica Ruben riuscirà a sfuggire a un destino segnato, a ricongiungersi con la madre e a dare una svolta positiva alla sua vita, che è stata raccontata in prima persona nel documentario Siluro rosso di Maria Chiaretti. La vera forza anche del documentario, è proprio lui, Rubén Gallego,che buca letteralmente lo schermo. Crudo, diretto, magnetico, bello, racconta se stesso e le atrocità che ha dovuto subire prima di incontrare la madre e la sorella, sposarsi due volte, avere due figlie e pubblicare questo libro.
“ Il nero è il colore della lotta e della speranza….del cielo notturno…dei sogni..delle pause tra gli intervalli diurni..del sogno e della fiaba..del mondo dietro le palpebre chiuse. E’ il colore della libertà…E dietro di me resteranno soltanto le lettere dell’alfabeto. Le mie lettere, le mie lettere nere su sfondo bianco. Lo spero”.
Bella 18 novembre 2016 Mario Coviello




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