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Recensione libro:Roberto Giardina “Per un’Europa libera ed unita” |
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7/03/2015 | Il libro di Roberto Giardina “Per un’Europa libera ed unita” edito nel 2014 dalla Casa Editrice Imprimatur, parla dei padri della nostra Europa che sono uomini che combatterono nei due conflitti mondiali, anziani o non più giovani ed un particolare che sfugge parlavano il tedesco, la lingua del nemico di ieri, che doveva diventare il partner di domani. Non c’è intesa senza conoscenza e comprensione, non c’è Europa senza Germania, ieri come oggi, nel bene e nel male.
Ne parlavano sia Alcide De Gasperi, la cui amicizia con Konrad Adenauer risaliva all’inizio degli anni Venti e resistette alle dittature e alla guerra sia Robert Schuman, che era perfettamente bilingue, Jean Monnet ed il generale Charles De Gaulle, il cui bisnonno proveniva da Stoccarda, anche se preferiva non farne uso. Ma ad affrontare questo problema era anche il belga Paul-Henri Spaak ed Altiero Spinelli, che sposò la berlinese Ursula Hirschmann, la vedova dell’amico Colorni, che era stato professore di filosofia e leggeva in originale Kant o Hegel e contrabbandò il Manifesto di Ventotene che porta il titolo Per un’Europa libera e unita in cui si prevede un’unione con una sola moneta, la prima idea dell’euro, un esercito europeo e una politica estera comune. Tutti i partiti in Italia e negli altri Paesi sono fortemente nazionalisti, analizzano i tre estensori, è dunque necessario creare un nuovo movimento trasversale e sovranazionale. Tra i firmatari della prima ora ci sarà anche Sandro Pertini, compagno di confino, che però subito dopo, su pressione del Partito socialista, ritira l’adesione.
L’Unione è andata avanti nonostante le minacce ai suoi confini, e paradossalmente grazie ai conflitti. All’inizio, gli Stati Uniti non ripeterono gli errori compiuti dopo la Grande Guerra, aiutarono alleati ed ex nemici con il Piano Marshall, ma non vollero rinunciare al controllo. La guerra in Corea nel 1950 costrinse gli americani a ricorrere al riarmo dei tedeschi per fronteggiare il pericolo sovietico, di conseguenza a favorire l’ingresso della Repubblica Federale nelle nascenti istituzioni europee e nella Nato. Allo stesso tempo, i tedeschi erano frenati dalla paura di perdere Berlino Ovest, che potevano difendere solo grazie agli americani.
Bonn, la provinciale capitale provvisoria sul Reno, a novanta minuti d’auto da Bruxelles, quattro ore da Parigi, guardò sempre a Washington, mentre De Gaulle desiderava un’Europa sganciata dagli Usa.
Non siamo mai riusciti ad avere un forza militare comune perché ogni tentativo fu reso vano dagli Stati Uniti con l’appoggio costante della Gran Bretagna. L’Europa dovrà sempre agire nell’ambito dell’Alleanza atlantica, nella Nato sotto la bandiera a stelle e strisce.
Le crisi in Medio Oriente, da Suez nel ’57 alla guerra dei sei giorni dieci anni dopo, alla recente cosiddetta primavera araba, si sono svolte tutte alle porte di casa, ci hanno coinvolti e divisi. Negli anni Sessanta e Settanta fu la guerra in Vietnam a spingere gli europei verso il primo decisivo passo che porterà all’euro.
Da allora sia in Italia sia all’estero si sono verificati vari eventi che hanno mutato i rapporti di forza tra i vari stati fino ad arrivare ai giorni nostri dove c’è chi sostiene che l’euro non ha portato i benefici sperati e con una piaga dilagante della disoccupazione giovanile in particolare nel nostro paese.
Ma la crisi economica ha investito altre realtà del continente europeo come la Grecia che ha rischiato il tracollo economico ed ancora oggi malgrado il cambio di guardia alla guida del paese la situazione non è migliorata.
Biagio Gugliotta
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