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| Vito Teti a San Paolo Albanese: radici, migrazioni e restanza per un futuro possibile |
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7/12/2025 | Vito Teti, tra i più autorevoli antropologi italiani, ha incontrato giovani e cittadini a San Paolo Albanese, il più piccolo comune lucano di origine arbëreshë. Con il suo tono pacato e profondo, ha parlato di migrazioni, radici, partenze e ritorni, temi che attraversano da sempre i suoi studi e la nostra storia.
Teti ha ricordato che lo spopolamento non è un destino inevitabile, ma un processo antico che può essere affrontato solo assumendosi responsabilità e cambiando narrazione: le aree interne non sono terre arcaiche da lasciare, ma luoghi ricchi di risorse, memorie e futuro.
All’incontro erano presenti il sindaco Mosè Antonio Troiano, che ha fatto gli onori di casa, e i responsabili di Fondazione Appennino, che hanno introdotto e sostenuto l’iniziativa.
La restanza, per Teti, è un atto d’amore e di volontà: restare o tornare significa lottare per far vivere i paesi, prendersi cura delle case, delle piazze, delle relazioni. Significa diventare protagonisti dei processi di cambiamento e credere che nulla è irreversibile.
Un invito forte a ritrovare orgoglio e comunità, per costruire insieme un domani possibile nelle nostre terre.
Professore, cos’è cambiato, se è cambiato qualcosa, dai tempi di “Pietre di pane”
In termini di mutamento strutturale, demografico ed economico, che sono aspetti complessi, non è cambiato moltissimo. La “restanza”, il libro, sono serviti a fare prendere consapevolezza a gruppi, persone, associazioni che lo spopolamento è un grande problema che potrebbe portare molti di questi paesi alla chiusura, alla fine. Una presa di responsabilità, questa presa d’atto d’una situazione quasi irreversibile ha generato anche una serie di progetti, di iniziative. La nascita di gruppi, di associazioni anche nei piccoli paesi, sia pure con difficoltà, fanno in modo che lo spopolamento non sia come dice il Governo un problema irreversibile, ma un problema difficile da affrontare, senza dubbio, non da risolvere dall’oggi al domani ma da mettere nelle priorità nelle scelte politiche, un fenomeno da allentare, da frenare per creare condizioni di vita accettabili, tollerabili, altrimenti il rischio è veramente la fine.
Da ricercatore, da cittadino, Lei ha individuato delle colpe?
Diciamo che i problemi sono tanti, non c’è mai una causa sola per l’originarsi d’un grande problema , di un fenomeno. Lo spopolamento, se vogliamo, nel Sud comincia subito dopo l’Unità d’Italia con la grande migrazione, riprende negli anni ’50 e continuerà poi sempre in maniera più inarrestabile sino ad arrivare alla situazione attuale, che vede centinaia di paesi quasi arrendersi, chiudere. Le responsabilità, indubbiamente, sono sempre prima di chi governa i paese e di chi ha il potere politico per affrontare i problemi e cercare di risolverli, i ceti dirigenti nazionali e locali hanno delle responsabilità grosse. Negli anno ’50, quando tanta gente partiva, la politica italiana invitava le persone a partire ad andare via, quindi in qualche modo era un invito allo svuotamento dei paesi, non è stata incoraggiata l’agricoltura. Quelle piccole economie locali, quelle forme di artigianato, di socialità non sono state incoraggiate, non sono state favorite e alla lunga la gente, i giovani sono andati via. A lungo andare i paesi sono diventati scomodi per viverci. Hanno tolto gli ospedali, hanno isolato i paesi con strade non sempre percorribili.

Professore, tra le altre cose, la salute degli italiani e della gente del Sud è sempre più ammalata, eppure non si reagisce, non si lotta per un diritto considerato dalla Costituzione “fondamentale”
Lo spopolamento non è solo un problema numerico, il vuoto è anche un vuoto culturale, è anche un vuoto psicologico, è anche un vuoto mentale. Nelle persone che hanno atteso per anni una buona salute e non hanno visto cambiare nulla, si crea sfiducia si crea apatia rassegnazione, alla fine è l’animale che si morde la coda. Tu crei condizioni di disagio alle popolazioni, le popolazioni si sentono disagiate e quindi se ne vanno, magari si rimproverano le popolazioni che non restano , ma in realtà non sono state create quelle condizioni strutturali , sociali perché restassero, nemmeno in presenza di forti somme che vengono destinate con il piano strategico per il recupero delle aree interne. Spesso sono più slogan, più propaganda politica che non fatti veri , non azioni mirate.
Alla restanza , alla resilienza, alla torananza io aggiungerei quello che si dice in alcuni paesi: vacantarije. Paesi chine i vacantarije, pieni di niente
La restanza ha avuto una sedimentazione lunga, un termine antico, ha una impostazione concettuale e teorica che vuole parlare di restare, di partire, di tornare, tutte altre queste denominazioni hanno a che fare con il vuoto, paesi vacanti. Vacant, indica che dal pieno siamo passati al vuoto. Noi dobbiamo mandare un segnale di speranza, di fiducia, quello che è vuoto potrebbe riempirsi di qualcosa di nuovo , di iniziative nuove, di nuovi arrivati, di nuove persone. Per tutto questo, bisogna metterci fantasia, creatività, immaginazione e impegno costante.
Vincenzo Diego |
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