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''Il paese sulla sabbia'' e quel rito collettivo che profumò di miracolo

21/07/2025

Io me lo ricordo quell'anno.
Era il 2011, giugno, e l'estate, almeno sul calendario, non era ancora cominciata. Dopo poche settimane sarebbe stato il 25esimo anniversario della Frana di collina Timpone a Senise. Otto morti. Tra questi 4 bambini; tre fratelli; una neonata.
Chiamai Leonardo Chiorazzi, volevo fare qualcosa che andasse oltre il ricordo attraverso la cronaca giornalistica, che pure onorai. Volevo che l'arte del teatro, linguaggio universale, accarezzasse e prendesse per mano questa tragedia, per creare un rito collettivo capace di squarciare l'oblio nel quale questa storia, nonostante la sua enorme portata, era finita per troppo tempo.
Leonardo non mise troppo tempo in mezzo: accolse la sfida, gli fornii la rassegna stampa dell'epoca per aver una traccia da cui partire e dopo pochi giorni la sceneggiatura era pronta.
''E' corale- mi disse- serve contattare e incassare la disponibilità di tante persone, chi sarà sul palco e chi lavorerà dietro le quinte. Ce la facciamo in così poco tempo?''.
Dovevamo farcela. La richiesta divenne virale, nonostante nel 2011 i social non fossero così diffusi e non ci fosse nemmeno whatsapp.
Contattai alcune persone: non era facile incassare la disponibilità per qualcosa che, comunque, avrebbe portato via mezza estate, perchè il poco tempo a disposizione avrebbe richiesto un programma di prove molto più fitto del solito.

Alla fine ci ritrovammo in quasi 40 persone, di ogni età, molti dei quali non erano mai stati su un palco nemmeno per una recita scolastica.
E ancora: i musicisti che dovevano accompagnare dal vivo lo spettacolo, i tecnici, lo scenografo.
Il rito collettivo de ''Il paese sulla sabbia'' si materializzò in pochi istanti.
Non furono giorni facili. Ricordo che Leonardo volle riunire tutti da subito per visionare, insieme, le immagini di quei concitati giorni del 1986. I più giovani li videro per la prima volta; quelli più adulti risvegliarono dolore, rabbia, paura e angoscia; alcuni di loro avevano anche partecipato, all'alba di quel 26 luglio, alle operazioni di ricerca delle persone disperse sotto le macerie, scavando a mani nude.
In quei giorni la forza catartica del racconto teatrale si fece sentire come uno tsunami: non arrivava subito, forse perchè la concentrazione prevaleva; bussava all'improvviso, spesso durante il sonno, nelle ore di svago di quell'estate del 2011, tra fine giugno e luglio. Almeno fu così per me.
La sera del 26 luglio 2011 lo spettacolo andò in scena nel centro storico, in largo Donnaperna. Leonardo aveva chiesto che soltanto il palco fosse illuminato. Solo a fine spettacolo ci rendemmo conto che, in quella piazza, c'erano almeno mille persone. Molti, in religioso silenzio, si erano assiepati, in piedi, nel giardino delle suore perchè non erano riuscite ad entrare nella piazza.

Anche in questo caso si compì il rito collettivo.
Con rispetto. Per la memoria, per i morti, per i vivi.
Per Senise.
Per Longarone. Per Sarno. Per la casa degli studenti a L'Aquila. Per la vicenda del palazzetto dello sport a Lauria. Per le tragedie causate dalla mano inetta dell'uomo.

Perchè siamo donne e uomini che dimenticano. Siamo come le mosche, che hanno una memoria a breve termine molto limitata e per questo le vediamo sbattere contro il vetro della finestra: perchè non ricordano mai come è possibile uscirne.

Il ricordo è come un sasso, piccolo ma potente.
E quando ricordiamo dobbiamo fare come i bambini che giocano sulla spiaggia: vince chi, il sasso, lo fa andare più lontano.

Mariapaola Vergallito




 


 


 



 


 





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