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| L'antispecismo poetico di Teodora Mastrototaro scuote le coscienze |
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14/07/2025 | «Una vecchia diceria che arma la mano dell’uomo e contribuisce ad arricchire il capitale vuole che le mucche vengano munte per il loro bene, per non farle gonfiare eccessivamente. (...)Una diceria esprime sempre più di ciò che esclusivamente racconta. La violenza contro gli animali, che è sistemica, non è soltanto economica, è anche culturale, è sfogo della noia, è crudeltà che s’irradia nei più diversi spazi».
Da questa premessa nasce il nuovo, intenso e struggente lavoro di Teodora Mastrototaro, drammaturga e poetessa, antispecista; ha origini pugliesi (di Trani) ma vive a Roma e da anni si batte, attraverso il racconto, il teatro e la poesia, per i diritti degli animali.
Da pochi giorni è tornata in libreria con «Le mucche se non le mungi esplodono (di gioia)» (Marco Saya editore, 18,00 euro, 130 pagine) con la prefazione di Bianca Nogara Notarianni e le illustrazioni di Alessandra Antonini, un’opera poetica radicale, che colpisce e destabilizza con la forza di una denuncia lucida e profonda.
Ogni verso, ogni parola, si bagnano di una realtà che attraversa, anch'essa, ogni minuto della nostra quotidianità perchè parte da casi di cronaca citati, con luogo e data. Così la poesia non è evasione, ma immersione in ciò che vorremmo ignorare. Le vittime animali qui tornano a esistere nel linguaggio, attraverso un verso breve, tagliente, a volte lirico, a volte sarcastico, sempre consapevole del suo compito: non lasciar cadere il silenzio sull’orrore.
Tante le storie che attraversano le pagine di questo libro, ciascuna un colpo netto alla coscienza. C’è Natalia, scimpanzé dello zoo di Valencia, che per oltre tre mesi ha tenuto con sé il corpo esanime del figlio, rifiutandone il distacco.
C’è il cinghiale paralizzato a Firenze, investito da un’auto e lasciato morire dietro le transenne, come fosse un cantiere o una buca da evitare. In questa vicenda la violenza urbana assume la forma dell’indifferenza: un’architettura del contenimento che la poesia espone con impietosa ironia.
C’è il gatto randagio di Roma, legato ai binari e schiacciato da un treno nel luglio 2024. Un’immagine tanto semplice quanto devastante, che la poesia restituisce con feroce delicatezza.
E poi c’è l’elefantessa incinta uccisa in India, ingannata da un ananas imbottito di esplosivo.
Il libro è un atto di responsabilità. Un’opera che non si limita a rappresentare il male, ma che lo combatte con il solo strumento che ha: la parola che smonta i luoghi comuni che creano alibi alla coscienza di tutti coloro che non vogliono ancora vedere.
Mariapaola Vergallito
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