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| ''Città nucleari'' e i limiti dello studio dell'Istituto superiore di sanità |
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18/07/2023 | Nel gennaio 2015 l’Istituto Superiore di Sanità assieme al Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie ha presentato un rapporto sullo stato di salute della popolazione residente nei comuni già sede di impianti nucleari. Questo rapporto, pur tra i suoi tanti limiti, aveva il merito di fornire una prima visione sullo stato di salute di intere popolazioni che per decenni hanno vissuto in zone in cui erano presenti centrali nucleari e di vedere, di conseguenza, se e quali malattie si sono sviluppate. Tra i nove comuni presi in esame, figura anche quello di Rotondella, sede del centro ricerche Enea sito nella zona Trisaia. Come più volte sottolineato, in questo impianto, tra la fine del 1969 e il 1971, sono stati trasferiti 84 elementi di combustibile irraggiato a base di uranio-torio provenienti dal reattore sperimentale Elk River nel Minnesota (USA). A seguito del referendum sul nucleare del 1987, le attività sono state interrotte e ad oggi sono presenti nell’impianto ancora 64 elementi di combustibile irraggiato del ciclo uranio-torio che non possono seguire la via del riprocessamento in quanto non esistono impianti industriali in grado di ritrattare tali quantità di questo tipo di combustibile. Quindi da trentacinque anni nel centro Enea di Rotondella sono presenti queste scorie nucleari con tutti i possibili danni per la salute della popolazione autoctona. Ed è in questo quadro che si inserisce lo studio in questione dal titolo “Valutazione dello stato di salute delle popolazioni residenti nei Comuni già sedi di impianti nucleari – conferenza Stato-Città” pubblicato online nel 2015. Questo studio, come dicevamo in precedenza, è stato quasi del tutto ignorato anche se presentava molti dati e sollevava altrettanti problemi. La prima cosa che salta all’occhio leggendo il rapporto è la considerazione che il comune di Rotondella rientra in una ristretta cerchia di 4 comuni nei quali l’Istituto Superiore di Sanità ha registrato un eccesso di mortalità per patologie tumorali con evidenza sufficiente o limitata di associazione con le radiazioni ionizzanti. In particolare, scrive l’ISS che “nel Comune di Rotondella la mortalità per i tumori della tiroide e della vescica è in eccesso nel decennio 1980–1989; il tumore del fegato ha fatto registrare un eccesso di mortalità nella seconda e terza decade, nonché nel periodo complessivo dei 30 anni analizzati”. Andando avanti nella lettura si nota che i ricercatori evidenziano che, nella decade 1980-89, nonostante un indice SMR (rapporto standardizzato di mortalità) di circa 100, a Rotondella per le malattie dell’apparato genito-urinario si raggiunge il fattore di 214, oltre il doppio. Andamenti simili si registrano nella decade successiva per le malattie dell’apparato digerente così come nella decade 2000-2008. Il valore nettamente più anomalo, per incidenza e mortalità, è quello della tiroide che raggiunge un SMR di 578: oltre cinque volte l’indice statistico medio atteso. Nel ventennio 1990-2008 aumentano nettamente anche l’incidenza e la mortalità dei tumori primitivi del fegato e dei dotti biliari. Entrambe le categorie oncologiche (tiroide e fegato-vie biliari) vengono ricondotte agli effetti delle radiazioni ionizzanti.
Ora, come abbiamo detto, questo studio presenta molti limiti. Primo fra tutti l’esiguità del campionamento: l’indagine è stata condotta limitatamente al solo comune di Rotondella interessando, pertanto, una popolazione di poco superiore alle 2500 persone. A questo iniziale campionamento è stato applicato il metodo d’indagine Sentieri: si è partiti dal database Istat del 1980 proseguendo fino al 2008, e suddividendo i dati su tre decadi: 1980-1989;1990-1999 e 2000-2008. Sarebbe stato più utile e ragionevole estendere le indagini ai comuni limitrofi agli impianti in questione. Però, nonostante questo iniziale handicap, l’indagine presenta molti aspetti che meritano di essere analizzati e studiati attentamente. Innanzitutto evidenzia che, pur se con numeri ridotti, ci potrebbe essere una correlazione tra malattie tumorali e la presenza di questo materiale radioattivo in zona. Quantomeno fa sorgere il dubbio! Questo potrebbe apparire come un fatto scontato (e forse in realtà lo è), ma nel corso di tutti questi anni da più parti ci è stato detto che nessun pericolo per la salute dei cittadini deriverebbe dalla presenza di questi rifiuti radioattivi e che gli stessi erano costantemente monitorati e tenuti a norma di legge. Ora i dati di questo studio, anche se parziali e su una campionatura poco attendibile, qualche dubbio ce lo fanno venire. E insieme ai dubbi di natura sanitaria, fanno sorgere dubbi di natura politica e sociale: come sempre abbiamo affermato, era veramente necessario creare questi “mostri radioattivi” in territorio lucano per combattere la disoccupazione e ridurre le distanze tra Nord e Sud? Il gioco valeva la candela?
Nicola Alfano
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