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L’ANFRATTO corale, saraceno e lucano nella poesia di Prospero e Valerio Cascini

27/04/2023

La lettura di “Lucanità saracena” è affascinata da un’insolita curiosità che trova significato nel carattere stesso del testo, dove il titolo, la veste tipografica, il connubio fotografia/poesia, la creazione poetica di due autori sono l’alimento dell’attesa e della scoperta. Ho trovato estremamente significative la prefazione e l’introduzione che accompagnano il lettore e lo introducono alla lettura: la prima esalta la poesia come espressione di un valore identitarioantropologico, la seconda privilegia la dimensione di significato, che crea un filo rosso di interpretazione dando continuità e valore a tutta la raccolta con il corsivo dei versi, lo stampato degli autori, il grassetto dei titoli. Sono parti che si completano tra loro e completano la raccolta per essere di aiuto al lettore e non di certo allo scrittore che, al contrario, non gradisce tale contaminazione. E’ un libro in bianco e nero, dove mancano i colori, perché è un libro di ricordi, di nostalgia, dove il presente è solo uno spunto per tornare al passato e il passato ritorna con la sua essenzialità come in una foto in bianco e nero. Emerge sicuramente un differente stile poetico dei due autori. PROSPERO CASCINI è un cultore, un esperto, un artista della parola, la leviga in maniera sottile, ci gioca con il suo valore evocativo ( notti bianche, bianchi candori, biancospino, purissima neve, riflessi bianchi della luna). Ogni parola è una creatura che si fa spazio per la sua potenza creativa e per l’evidente labor limae. Si coglie il suo sforzo di dare alla parola tutta la carica immaginativa. Una poesia sì levigata, ma dal valore universale, portatrice di valori che superano la dimensione dello spazio e del tempo ( il tempo come dono, l’ascolto come imperativo, la gioia come valore universale, il rispetto come GPS del nostro cammino). Il suo è un continuo ritornare al passato, al ricordo; il presente è solo un pretesto per metter in moto un meccanismo di regressione, facilitato da una vita segnata da orme del passato. Il ricordo, insomma, altro non è che un ripercorrere le orme con una direzione opposta. Micaela è uno spostare indietro le lancette dell’orologio, è un lasciapassare verso la fanciullezza ormai tramontata. E’ una poesia di spessore filosofico: le similitudini e le massime incardinate si evidenziano con naturalezza che consentono di dare respiro ai versi:
-la vita come un dormiveglia in cui inabissarsi
-l’uomo un viandante perché ha il cuore in cammino, il cuore con le ali che porta ovunque nello spazio e nel tempo
- la vita come un treno impetuoso che fa poche fermate - la vita come un orologio le cui lancette sono in perpetuo movimento senza mai fermarsi
- la vita come ASPRA per le sue asperità C’è una coralità di fondo nella sua poesia , un volersi identificare con la comunità , con il gruppo. Lo stesso ricordo non è mai vissuto in solitudine, ma è anch’esso un ricordo corale: basti pensare al ricordo della classe che si trasforma in una collana, in un pugno di sabbia, in un film il cui inizio è uguale per tutti .
E poi c’è una grande cornice esterna che è la Lucanità che supera la dimensione del paese per abbracciare quella più ampia del mondo lucano ( Un amore per l’amaro della nostra lucania).
E’ la coralità di un paese, del proprio paese dove tutto è noto, dove tutto è riconoscibile- le voci, il passo, il cadenzare- dove nulla è estraneo ed insignificante. Un paese che si identifica metaforicamente con la piazza che è il cuore di una comunità, dove tutto trova sintesi, dove l’anima profana e quella sacra si fondono, dove si realizza una strana complicità tra politica, musica e valzer popolare.
E’ la coralità della famiglia a cui il poeta dà un valore molto alto: Maria Micaela è il presente e il futuro e quindi la speranza ( rallegrati e trastullati da lei) ; la madre e il padre, invece, sono il passato, la nostalgia di qualcosa che non è più, la morte che è privazione di presenza, ma è anche assenza di sofferenza. Il finale ha sapore di tristezza, di morte; scolpita nell’immaginario del lettore rimane la madre del poeta che continua ad essere nella vita del figlio accompagnandolo nel lento tramontare, che non imbandisce più la tavola per tutti e che non può più essere l’infermiera del corpo e dell’anima pronta a dare manforte a tutti. Le due figure appiccicate, quella del padre e della madre, sono separate dalla potenza della morte, quella stessa morte che interrompe per il figlio le chiacchierate con il padre e che alimenta il rifiuto di crescere.
Il poeta Prospero Cascini è, dunque, il Peter Pan che, nel ricordo del padre, dimentica il processo inarrestabile della vita che conduce tutti, inevitabilmente al capolinea. VALERIO CASCINI è, invece, cultore dell’immagine e dell’espressione poetica più che della parola. La sua è una poesia descrittiva e a volte narrativa.
Quando prevale in essa il tono narrativo il ritmo è veloce e dinamico. Nell’immaginario del lettore sono nitidi e chiari i quadretti descrittivi con carica poetica :il letto con la base di foglie di granoturco, il paesaggio di neve acquosa, la famiglia che aspetta con la tavola pronta e il bambino che ammazza l’attesa giocando, il fruttivendolo di Senise. E’ una poesia dove si percepisce il punto di vista del fanciullo, non quello dell’adulto che guarda il passato della fanciullezza : è il bambino che gioca, che sullo scannetto guarda la neve che scende e attende di sapere della chiusura della scuola, che cattura e trattiene nelle mani le lucciole, che prepara la granita , che tiene accartocciata la mille lire in tasca, che indossa con sicurezza ed orgoglio il fiocco del grembiule. Il paesaggio e la natura contribuiscono a questa leggerezza che è propria della fanciullezza: una luna giocherellona che corre dietro il bambino, la neve che scende piano piano, il cane che abbaia dietro le inferriate allo sconosciuto. Lo stesso paese è rappresentato in momenti gioiosi e luminosi che ricordano l’orgogliosa appartenenza ad una comunità viva e solare: la gara dell’antenna, la gioia del premio, i bambini che corrono a consegnare i rametti di palma decorata di qua e di là del paese, il rumore della pasta di casa , la raccolta dell’uva. In maniera sottile e quasi poco evidente, Valerio Cascini riesce a comunicare, insomma, il patrimonio folklorico, culturale e gastronomico del suo paese: la produzione del vino, la pasta di casa, il panzerotto di castagne, il ponte tibetano, l’antenna e tanto altro. E poi poche, ma forti e risonanti, sono le sue sentenze poetiche: la vita come una matita che si accorcia nel tempo, ma che si consuma perché lascia la sua traccia o la vita simile al pino loricato che, seppure colpito dai fulmini, resiste e non si abbatte per essere compagno dei suoi fratelli. Uno straordinario messaggio di filantropia è quello reso attraverso l’immagine del pino loricato che ricorda a ciascuno di noi il principio stoico dell'amore dovuto all'essere umano. Straordinaria è, infine, nel cuore dell’autore la consapevolezza del valore della poesia come impasto di parole fatte a posta che devono raggiungere il cuore e devono durare per sempre.

Prof.ssa Rosa Schettini
Dirigente Scolastico
ISIS “Leonardo Sinisgalli”
Senise (PZ)



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