«Amor che ne la mente mi ragiona»
Ho scritto questo libro, per metą postmoderno e per metą postantico, tra veglia e sonno, come in un sogno.
Il narratore č nella storia, ma non č la storia, i personaggi sono veri ma inventati, il racconto č per metą reale e per metą finzione, la lingua č per metą italiano e per metą dialetto.
Ho scritto questo libro in lingua italiana, la mia amata lingua italiana, la lingua della veglia, la lingua ufficiale, dei rapporti sociali, della letteratura, e in dialetto senisaro, lingua minoritaria o lingua inedita, la lingua del sonno, dellio profondo, del silenzio.
Dedico questo libro alla lingua della veglia e alla lingua del sonno, in particolare al dialetto, la mia lingua, arcaica, pre-babelica, senza letteratura, senza grammatica direbbe Dante, dove ogni cosa trova il suo nome e ogni nome trova la sua cosa; dove ogni nome č edenico, ogni parola č adamica.
Dedico questo libro al mio dialetto, che, nel dire, mi fa avvicinare allindicibile e allinesprimibile, con la massima intensitą espressiva e il minimo di comunicazione.
Chiudo con alcuni versi di Albino Pierro ri-scritti nel mio dialetto:
allummanghė na parņlė.
Ič mmmčgghiė i ničndė
Cacchė u sąpėtė
putčrėtė mittė i rąrichė
ndu suņnnė
e sė truvą, a matģne
nu bellė u fiņrė
Almeno una parola,
č meglio di niente.
Chissą
potrebbe mettere le radici
nel sonno
e ritrovarsi, al mattino
un bel fiore.
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