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Asso di Monnezza e Aldo Moro d Ulderico Pesce in Lombardia

26/06/2021

“Asso di Monnezza: i traffici illeciti di rifiuti in Italia”, e “Aldo Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia”, produzioni teatrali lucane, approdano in Lombardia, al Festival di Vimercate, alle porte di Milano, il prossimo 27 e 28 giugno alle ore 21. “Asso di monnezza”, in scena il 27 giugno, racconta i traffici illeciti di rifiuti tossici che attanagliano l'Italia, tanto da far dire a chi vuole arricchirsi in maniera illecita, che il vero asso nella manica è “l’asso di monnezza”. Il testo è stato scritto in base alla documentazione ufficiale della Magistratura italiana, nello spettacolo si denunciano i clan della Camorra che si dedicano a questa fruttuosa attività, i funzionari delle Istituzioni pubbliche coinvolti e i titolari delle “finte” ditte di compost fertilizzante per l’agricoltura che sempre più spesso scaricano rifiuti tossici in discariche abusive o sulla terra agricola. Tra i temi narrati la fabbrica di smaltimento di rifiuti pericolosi che per circa 20 anni ha operato a pochi chilometri dal mare di Maratea, smaltendo, tra gli altri, rifiuti dell’ILVA di Taranto e della raffineria di petrolio dell’ENI. Più volte indagata e condannata, la fabbrica fu sequestrata. In queste settimane la Regione Basilicata ha completato l’iter autorizzativo della riapertura. A tal proposito Ulderico Pesce dice: “Se in Lombardia mi chiedono ancora una volta di narrare la storia della fabbrica della Valle del Noce, significa che è sul serio una brutta storia. Ad agosto a Rivello faremo vedere il docufilm girato su questa industria, e protesteremo in maniera ufficiale contro la decisione del settore ambiente della Regione Basilicata che ha autorizzato la riapertura di questa industria, che tanto danno ha fatto all’area, a pochi metri da una delle aree SIC più interessanti d’Europa. La riapertura di questa industria non ci sarà. Siamo pronti a bloccare la Fondo Valle del Noce. Quella è un’area turistica e di pregio ambientale. Non torneranno i rifiuti dell’ENI e dell’ILVA. Andare a raccontarlo a Milano, assieme ad altre problematiche ambientali che attanagliano l’Italia, è raccapricciante. Ma si deve fare. Il mondo, dopo il Covid, sta cambiando. L’ambiente, la salute, il cibo, gli alberi, gli animali, diventano il pilastro della società moderna.”.
Il 28 giugno, alle ore 21, sempre a Vimercate, andrà in scena lo spettacolo che Ulderico Pesce ha dedicato alla storia di Aldo Moro, scritto con il giudice Ferdinando Imposimato. Lo spettacolo è stato presentato in prestigiosi teatri d’Italia, dal Teatro India di Roma al Teatro Stabile di Trieste, al Teatro Menotti di Milano. “Non l’hanno ucciso le Brigate Rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi dallo Stato”. Questa frase è il fulcro dell’azione scenica ed è documentata dalle indagini del giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Moro, recentemente scomparso, che nello spettacolo compare in video interagendo con il protagonista e rivelando verità terribili che sono rimaste nascoste per quarant’anni. Il racconto scenico parte dai fatti del 16 marzo 1978 quando fu rapito Aldo Moro e furono uccisi gli uomini della scorta: Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Oreste Leonardi. Raffaele Iozzino, unico membro della scorta che prima di morire riuscì a sparare due colpi di pistola contro i terroristi, era di Casola di Napoli e proveniva da una famiglia di contadini. Raffaele, alla Cresima, aveva avuto in regalo dal fratello Ciro un orologio con il cinturino in metallo. Ciro, quella mattina del 16 marzo era a casa e casualmente in televisione vide l’immagine di un lenzuolo bianco che copriva un corpo morto. Spuntava da sotto al lenzuolo soltanto il braccio con l’orologio della Cresima. Questa è l’immagine emblematica che ricorre più volte nelle video proiezioni, questa immagine è la radice prima del dolore di Ciro, protagonista dello spettacolo. Questo dolore diventa rabbia, e questa rabbia lo spinge a rintracciare il giudice Imposimato titolare del processo al quale chiede di sapere la verità. Sarà il rapporto tra Ciro e il giudice, strutturato su questo forte desiderio di verità, a rendere chiaro al pubblico che ad uccidere Moro e i giovani membri della scorta furono i più alti esponenti dello Stato italiano con la collaborazione dei Servizi segreti americani.




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