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Il giardino delle Esperidi

26/08/2012

“È libero ciò che è causa di se stesso”. Ne consegue la grande responsabilità per la azioni che ognuno compie nella propria vita. Se si immagina il giardino incantato ove risiede l’albero dai frutti d’oro lo vedremo protetto dalle terribili figlie della Notte la prima delle quali la possiamo raffigurare come la paura della “responsabilità degli atti”. Sfogliando le pagine della storia infatti scopriamo che ogni popolo ha i propri eroi in questo senso ma che la massa degli uomini ha per secoli fatto volentieri a meno del libero arbitrio delegando altri a decidere per sé. Alberto Magno chiama libero l’uomo che è causa di sé e che il potere altrui non può costringere. Questa definizione ci mostra il volto del secondo guardiano dell’albero: la paura di percorrere l’aspra via che conduce alla saggezza. Questa scelta comporterebbe un lungo e costante sacrificio nella ricerca dei valori e della giustizia, nonché di una corretta collocazione del singolo rispetto al tutto. Il raggiungimento di un certo grado di “saggezza” consente, come affermavano gli stoici, di rimanere insensibili nei confronti delle comuni ingiustizie perpetrate dagli uomini attribuendo alla vita un più alto significato rispetto a quello dato dalla morale comune. La terza ninfa che preclude il passaggio al giardino è la paura degli uomini di lottare per la propria libertà. Questa paura sconvolge anche la mente del saggio il quale crede in un primo momento di potersi far bastare la libertà interiore ma si accorge presto che il rifugiarsi nella propria dimensione culturale equivale a vivere in un deserto arroventato. Si può certamente trovare ristoro in una casa fresca e confortevole ma si è comunque prigionieri di quella. Quindi anche il saggio, che credeva di aver raggiunto il suo scopo, quando si trova a vivere in una società che è stata privata della libertà è costretto a combattere per riaffermarla. Infine Ladone che non dorme mai. È questo un ostacolo al di fuori dell’uomo rappresentante il potere al servizio degli interessi di quanti amano più di tutto governare sugli altri. Questi uomini hanno il torto di porre questo traguardo come fine ultimo della propria esistenza quando invece la società dovrebbe reggersi sul bene comune, sulla condivisione delle scelte e degli indirizzi, sulla tutela e la libertà del popolo. La bramosia di potere e l’apparato tentacolare al suo servizio sono dunque i nemici esterni da battere per accedere al premio. Ma per poterlo fare l’uomo deve acquisire la forza vincendo le proprie paure e rendendosi in tal modo libero e padrone di sé. Aristotele afferma che da noi dipende la virtù e pure il vizio in quanto l’uomo libero ha la possibilità di non fare ma anche di fare e dice testualmente: “nelle cose in cui l’agire dipende da noi, anche il non agire dipende da noi; e là dove siamo in grado di dire sì possiamo anche dire no”. Solo armati di tale consapevolezza si può abbattere il serpente dalle cento teste. Ma non abbiamo ancora detto quale frutto prezioso l’albero riserva all’uomo libero. A quell’uomo, che vinte le proprie paure sia stato capace di conquistare la propria libertà interiore e così fortificato abbia compiuto la scelta di combattere e vincere contro la tirannide dalle multiformi sembianze viene riservato il pomo della “Democrazia”. Erodoto si domanda: “ come potrebbe essere un governo bene ordinato il dominio di uno solo, se egli può fare quello che vuole senza rendere conto ad alcuno? Il monarca tende a diventare tiranno!”. Nelle conclusioni noi concordiamo con Hobbes quando dice che la differenza delle forme di governo dipende dalla differenza delle persone a cui il potere sovrano viene affidato. La democrazia si compie dove il potere sovrano spetta al popolo. Riteniamo oggi di aver perso il bene prezioso della democrazia, nel senso pieno del termine, in luogo di un governo che Montesquieu avrebbe definito dispotico, cioè fondato sulla paura. Quindi in forma di appello diciamo a tutti gli uomini liberi di lottare con le armi delle idee, della parola e del consenso affinché quel bene supremo, che è la democrazia, possa presto ritornare tra le nostre mani e nelle nostre vite.
Antonio Salerno



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