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Tra le onde del mare: il rumore della vita

31/07/2012

“Il mare spesso parla con parole lontane, dice cose che nessuno sa. Soltanto quelli che conoscono l'amore possono apprendere la lezione dalle onde, che hanno lo stesso movimento del cuore”. Forse basterebbero solo queste poche parole impresse dal giornalista e scrittore Romano Battaglia nell’opera “Una rosa dal mare” per descrivere quel legame inscindibile e plurimillenario che lega l’ animo umano all’universo acquatico. O forse no. Forse davanti ad un connubio così saldo ed ancestrale, le parole diventano improvvisamente vane, effimere, quasi insignificanti perché cedono spontaneamente spazio ai sentimenti, alle sensazioni, alle mute immagini. Per cogliere in pieno quel legame mistico tra il cuore umano e l’anima del mare, probabilmente è necessario chiudere gli occhi, seduto, magari, sul ponte di una nave, una di quelle navi-crociera lussuose e confortevoli, che da lontano sembrano mastodontici titani, e così lasciarsi cullare da quella indescrivibile brezza marina che, all’improvviso, sembra condurti in un universo parallelo, in un mondo alternativo che, in realtà, scopri vivere da sempre dentro di te. Il fruscio delle onde, l’odore del mare, il sapore del sale: immagini straordinarie che sembrano albergare sotto altre costellazioni, molto lontane dalla nostra umana realtà. Una sensazione mistica ti pervade, quasi come se dal bacino di quelle acque profonde, dal cuore della terra, fuoriuscisse un effluvio magico che ti logora le carni penetrandoti nell’anima. Pensieri soavi si affollano nella mente, che come un diario si apre trasformandosi in un crogiuolo di sogni e di ricordi, di illusioni e di speranze. E’ come se si trattasse di uno straordinario gioco alchemico che ti fa toccare l’infinito e con la mente ti fa varcare l’orizzonte che si propaga davanti ai tuoi occhi . Chi lo sa, forse proprio queste sensazioni, che appaiono soggettive e personali, sono le stesse che hanno unito da secoli il mare a più popoli e a più generazioni. Frammenti di un vissuto che si ripete in una palingenesi costante, continua. Dai fenici ai Greci, dagli arabi ai colonizzatori europei, il mare e la navigazione hanno ricoperto sempre un ruolo prominente nella vita e nei costumi dei diversi popoli sia dal punto di vista sociale che da quello economico, unendo terre lontane, facendole magari sentire un “unicum”, una nuova “pangea” . Come chiosava autorevolmente Alexander Pope nell’opera La foresta di Windsor del 1713: “Il mare unisce proprio i paesi che separa”. E’ , dunque, un cordone ombelicale millenario e quasi connaturato nella stessa natura umana, un connubio ancestrale che ha scompagnato l’uomo sin dagli albori della propria storia. Il mare ha rappresentato sempre il mezzo più efficace per raggiungere terre lontane e disparate, dove incontrare altri popoli, altri costumi e altre tradizioni, che non si rivelano altro, poi, che una diversa interpretazione del nostro stesso “modus vivendi”. Indubbiamente i metodi di navigazione e i mezzi per affrontare il mondo marino si sono evoluti negli anni, attraverso uno straordinario processo progressivo. Alla Santa Maria, alla Pinta e alla Niña , fide compagne della celeberrima traversata colombiana (di Colombo), sicuramente non prive di problematiche e di difficoltà, si sono sostituite grosse navi da crociera, lussuosamente confortevoli, quasi alla stregua di vere e proprie “cittadelle sull’acqua” in quanto ricche, oltre che dei servizi più essenziali, anche dei confort più invidiabili (un esempio sono le grosse navi della “Grimaldi lines” o di altre società navali che quasi quotidianamente colmano le acque del “Mare nostrum” ). In queste navi, la presenza dei numerosi confort e di un’ingente personale permette agevolmente il raggiungimento di grandi distanze. L’approccio dell’uomo con le acque, dunque, è notevolmente migliorato e sembra andare sempre di più incontro ad un incontrastato progresso, questo grazie ovviamente agli ottimi risultati raggiunti dalla scienza e dalla tecnica. Ovviamente a questo aspetto davvero encomiabile del rapporto tra uomo e mare, se ne riscontra un altro dai connotati più drammatici e dolorosi. E’ il caso di chi, spesso, si avvia ad affrontare i cosiddetti “viaggi della Speranza” su battelli super affollati e insicuri per sfuggire dalla miseria o dalla guerra o con il solo intendo di vedersi riconosciuto l’umano e incontestabile diritto alla felicità. In questi casi, il mare assume i connotati di un vero e proprio cimitero di vite in cui vengono soffocati non solo i corpi, ma anche i sogni, le speranze, le illusioni, che come sassi pesanti lanciati in acqua, sembrano formare un alone per poi restare ancorati là, nel bacino del mare, accarezzati dalle onde che assumono lo stesso andamento del loro cuore. Nonostante tutto, il nucleo di queste tragedie non è quasi mai il mare, che, imperterrito e innocuo, si offre a chiunque intenta sfidarlo, ma il vero cardine della disperazione è da ricercare nell’insensata non curanza umana, nel suo eccesso di ιύβρις (iubris) come direbbero i Greci. Il mare non ha alcuna colpa, è limpido, trasparente e la sua magia sta proprio lì, nel fermarsi a guardarlo, nel sentirlo battere sotto i nostri piedi, nell’affrontarlo, nell’attraversarlo, proprio come fecero i nostri padri e i padri dei nostri padri. Il rapporto tra l’uomo e il mare è un processo “eliodromico”, costante, perenne, inscindibile, essenziale, semplicemente perché il movimento delle sue onde muta, cambia, si trasforma, assimilandosi al battito del cuore di chi lo sa ascoltare.


Mario Golia



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