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Trent’anni di Versailles latina

29/07/2012

Pace (in arabo e israeliano)! Ovunque c’è un conflitto quello è il nostro conflitto. Ovunque si combatte una guerra contro l’ingiustizia quella è la nostra guerra – quando si ama la pace si deve combattere perché essa trionfi pura e duratura. Ovunque l’odio si affermerà sull’amore noi tutti saremo tra le vittime. Ovunque ci sarà un’ingiustizia quella sarà la nostra ingiustizia: rivolta contro di noi se la condanniamo; da noi perpetrata se la ignoriamo e peggio ancora, giustifichiamo. Di un’unica pasta “ Dio” fece gli uomini, il Dio di ognuno, da un’anima quel corpo fu gratificato. Se tutti gli uomini, o gran parte di essi, sposeranno la causa della giustizia solo allora potremo avere un mondo più giusto. Quando all’ultimo degli individui sarà garantito ciò che gli spetta, per diritto e non per concessione o come prezzo da pagare, allora quella società potrà dirsi libera e giusta. Erano questi argomenti e pensieri dei comuni cittadini degli anni sessanta e settanta: operai, studenti, intellettuali. Il grosso della società civile era allora impegnato nella costruzione di un mondo migliore e più giusto, oltre che comodo e opulento. Gli abiti, le auto, gli alloggi erano beni accessori e relativi. Le idee, quelle si che erano cose di cui andare fieri. Come in un veloce cambio di immagine ci spostiamo nel duemiladodici e vediamo che questi sono divenuti i tempi delle contraddizioni; tempi bui nei quali la giustizia sembra aver smarrito la via, la libertà giace coperta da un sudario. Ma come si è potuto arrivare a questo punto partendo da quei presupposti? Forse vi si è giunti uccidendo gli ideali con l’arma del benessere! Le ragioni dell’individualismo, frutto dell’albero del capitalismo, hanno fatto si che ognuno ritenesse superflue le lotte sociali, superate le ideologie, considerasse come delle banalità le spinte morali per la ricerca di modelli sociali più giusti. Negli anni novanta le battaglie più grandi venivano combattute qui da noi in difesa dei diritti del proprio cagnolino da salotto. Al raggiungimento di tale ottundimento delle coscienze ha contribuito senz’altro anche un’altra vittima del cambiamento, la Chiesa. Combattendo ogni forma di riformismo nella speranza di rimanere unico riferimento morale di una società sazia ed appagata non considerava il pericoloso germe del nichilismo portato in grembo da un capitalismo ossessionato dalla necessità di giustificare, in nome del profitto, ogni genere di atto. In questo clima da “corte del Re Sole” il popolo è arrivato a delegare la politica per quel che riguarda ogni aspetto morale della vita dello Stato. È così che tutto ha avuto inizio, con la soppressione degli istinti di sopravvivenza, cosa che ha soffocato ogni impulso alla fatica intellettuale. Le tv si sono riempite di reality; le trasmissioni impegnate sono state viste sempre più con sospetto, ed avversate; la politica si è rimpinzata di mediocri che l’hanno indirizzata verso un netto ritorno a idee reazionarie; la lettura “meditativa” è stata quasi completamente abbandonata come il confronto pubblico sulle idee. Per quasi trent’anni molti popoli occidentali si sono allegramente intrattenuti in una Versailles grande quanto un continente. Senza la pressione dei cittadini, in assenza di una guida morale, le forze predominanti in una spregiudicata società di consumo hanno cominciato a prendere il sopravvento ed è così che la finanza ha potuto perseguire senza ostacoli e senza scrupoli i propri unici, veri interessi: il capitale e il profitto. La politica che avrebbe dovuto, con la propria azione legislativa, tracciare la via ad una economia rivolta alla società oltre che all’interesse del mercato, imboccava invece la strada dell’autoreferenzialità, dll’autocelebrazione e dell’autoconservazione staccandosi definitivamente dal popolo che, disintegrato in qualche centinaia di milioni di pance piene, ha girato la faccia dall’altra parte fino all’ultimo. Oggi appare chiaro come l’ingenua pretesa del cittadino che non vuole assolutamente interessarsi a nient’altro che non sia il proprio lavoro, il pagare le tasse e il badare ai propri interessi non abbia più alcun fondamento. Al punto in cui siamo bisognerebbe rendersi conto che ogni singolo uomo, per definirsi tale, dovrebbe portare in se, coltivare e far germogliare anche una componente ideale dell’essere. Un esempio lampante ne è la società tedesca per la quale le regole, nel campo della morale come in quello sociale, non rappresentano un limite alla sfrenata voluttà dell’uomo moderno bensì il faro che ne rischiara il camino rendendolo più sicuro. I risultati della diversità nel campo dei valori e dei comportamenti che esiste tra i popoli che compongono l’Europa moderna sono sotto agli occhi di tutti. Ci sono i popoli mediterranei, senza morale e senza regole e quelli nordici, ligi nell’applicazione e nel rispetto delle leggi. Tutti insieme decisero di darsi delle norme finalizzate al contenimento della spesa ma, mentre per i popoli dei mandolini queste regole hanno rappresentato e rappresentano la più grande disgrazia per quegli altri non sono altro che un giusto parametro nel quale operare con le proprie politiche. Nessuno qui da noi considera il fatto che per sentirsi oggi i tedeschi a proprio agio nell’abito stretto dei patti di stabilità hanno condotto per decenni politiche serie molto differenti dalle diete drastiche del Governo Monti, che fanno perdere dieci chili in un mese e ne riprendono venti nel successivo. Il messaggio che vogliamo oggi cogliere è quello di Platone: la giustizia è virtù e la virtù è il bene altrui. Una volta che l’uomo avrà ritrovato il senso della moralità scoprirà anche il rispetto per se stesso, per le leggi e per l’organizzazione dello Stato. Si riempirà dell’amore per la Giustizia e per la Libertà, che diverranno dei concetti dai quali l’animo trarrà quotidiano nutrimento e che verranno profusi in ogni azione quotidiana. Forse per costruire un futuro migliore bisognerà girare lo sguardo verso la parte migliore del nostro passato e trarne ispirazione: sarebbe meraviglioso ritornare a vedere capannelli di persone nelle piazze e in mezzo alle vie impegnate a discutere di politica, delle ingiustizie di ogni dove; del futuro del mondo. Forse in fondo a questa via, che ci è già appartenuta e dalla quale ci siamo incautamente allontanati, c’è il sogno tedesco nel quale anche le “panze” potranno trovare la loro soddisfazione.
Antonio Salerno



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