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L’assioma Comunista

17/06/2012

Colui il quale vorrà attribuire ad errore, o peggio ancora ad incauta ignoranza, l’ attribuzione della lettera maiuscola alla parola Comunista, rimarrà deluso nello scoprire che questo solecismo scaturisce da una ponderata decisione. Il rispetto per i sogni dell’uomo, d’ogni tempo, e soprattutto per quelli più grandi e profondi, eterei, è proprio ciò che ci contraddistingue. Tale è stato il Comunismo, un grande sogno, e fortunati saranno coloro per i quali esso continuerà in qualche modo ad esserlo. Psichiatri e filosofi di ogni tempo si sono occupati del sogno e pur nelle diverse interpretazioni tutti concordano sul fatto che sogno e realtà sono due cose molto diverse tra loro. Ma nel caso dell’ideologia comunista si è trattato, e lo è tuttora e sempre lo sarà, di un caso particolare del fenomeno dei sogni ovvero di un sogno fatto ad occhi aperti. Per tutti gli ex Comunisti non era, fino ad oggi si spera, giorno in cui la nostra breve analisi chiarirà in qualche maniera alcuni aspetti del fenomeno, spiegabile il motivo per cui chi abbracciasse quella linea di pensiero dovesse essere sempre, a tutti i costi, “contro”. Ma se prendiamo per buono il presupposto che il Comunismo sia una rara e particolarissima accezione del sogno allora tutto comincia ad essere più chiaro. Quanti, ritenendo l’atteggiamento di perenne contrapposizione a tutto e a tutti profondamente sbagliato, hanno abbandonato il partito e quella forma di pensiero, l’hanno fatto perché non erano degni. Il Comunismo è una “idea”, e la mente umana il Demiurgo. Per questo non vi può essere un processo che dal basso vada ad inquinare l’idea corrompendone la purezza: questo sarebbe, almeno da un punto di vista teoretico, inaccettabile, quindi nessuna proposta sarà mai considerabile da parte del comunista. Tutto ciò che viene partorito dalla mente umana non ha nulla a che vedere con il Comunismo in quanto l’uomo appartiene alla sostanza mentre le idee all’iperuranio e quindi il processo ha validità solo se si svolge nella direzione in cui l’idea è causa delle cose naturali. E fin qui il discorso non fa una piega. Mentre però il Demiurgo risiede nel mondo degli dei, sprovvisto di costituzione e di fisicità, il comunista è uomo e quindi sostanza: carne, ossa, sudore e cattivi odori. Ed è a questo punto che la farsa si trasforma in tragedia. Il comunista non disprezza procreare, mantenere un suo “status”, vivere nel modo migliore possibile. Se così non fosse non sarebbero comunisti bensì santi o martiri e la storia ci insegna che non sono mai stati la stessa cosa. Eppure hanno molto in comune queste due categorie: entrambe rivolgono la loro attenzione e traggono la loro ispirazione da qualcosa che non risiede su questa terra e in nessuna componente materiale del cosmo. Rimane comunque una nota di merito, per gli uni come per gli altri, che è quella di essersi cimentati nel tentativo di trasportare l’uomo al di la della propria materialità ma con una differenza che risiede nell’assunto: per la religione la dimensione terrena è transeunda, effimera fugace. L’uomo nasce libero e diverso da tutti gli altri e deve volgere il suo sguardo a ciò che è al di là dell’esistenza terrena e pertanto poco importa ciò che è giusto o ciò che non lo è su questa terra. Per il comunista invece questo non è vero in quanto la stessa dottrina da cui il suo pensiero nasce pone l’uomo e l’esistenza terrena al centro del tutto. Quindi la coerenza nella vita terrena si rende obbligatoria in quanto questa rappresenta l’unico sistema di riferimento. Ed è per questo motivo che la veridicità dell’assunto diviene fondamentale per sostenere l’intera ideologia: “gli uomini sono tutti uguali!”. Il vecchio comunista non si lascerebbe prendere alla sprovvista e subito concluderebbe: “dinanzi alla legge, per ciò che concerne i diritti e anche i doveri”. A questo punto ogni possibile discussione sarebbe da ritenersi praticamente chiusa. Ma invece è proprio qui che la discussione inizia. L’aspetto da chiarire è infatti come potrebbe questa ideologia, tanto pura ed eterea, convertirsi in dottrina politica, venire cioè calata e adattata alla fisicità dell’uomo e alla parte più pragmatica del suo animo. Se ciò fosse possibile sarebbe davvero una gran cosa poter ammirare l’immagine, anche se degradata e sbiadita, di una tale perfezione. E questo costituisce il punto critico della nostra riflessione: gli uomini sono davvero tutti uguali? Se fosse così, laddove il Comunismo si è realizzato, i capi del partito avrebbero dovuto vivere come l’ultimo dei contadini e invece la maggior parte di loro, una volta al potere, ha goduto di agi e privilegi non comuni ad altri cittadini. Non importa quanto scontata sia una tale affermazione, ciò che conta è che l’assioma viene, in questo modo, irrimediabilmente inficiato. Una volta che la base su cui poggia l’intero impianto teorico del comunismo si è dimostrata non valida, perché soggetta ad infinite contraddizioni di ordine pratico, passiamo a considerare quale senso possa avere oggi un partito comunista. Se è legittimo, da parte di un comunista, poter aspirare ad avere più degli altri allora, per un principio di giustizia sociale che non ha bisogno delle teorie comuniste per essere compreso ed affermato, questa aspirazione dovrà essere estesa a tutti gli altri membri appartenenti ad una data società. Arriviamo così ad ammettere, sulla base dei comportamenti dei capi comunisti, le differenze sociali e le disparità economiche come connaturate alla natura umana e necessarie alla convalida di una società democratica e capitalistica. Allora ci chiediamo ancora che significato abbia un partito comunista al giorno d’oggi? Crediamo nessuno, tranne quello di rappresentare una via populista per arrivare a conquistare una qualche forma di potere. Vedere qui in Italia i comunisti, vestiti come manichini di Armani, rovesciare una coalizione progressista con ottime potenzialità e stroncare la carriera all’unico leader di razza della sinistra democratica degli ultimi venticinque anni, è stato sconfortante. Ma sentire oggi i comunisti greci sventolare l’idea dell’autarchia della Nazione e l’uscita dall’Europa come la soluzione ai problemi di quello Stato ci lascia davvero sconcertati. Questo cavalcare l’onda del mal contento per perseguire il bieco, inqualificabile fine di acquistare un certo potere in una Nazione a pezzi, isolata, cosa che non potrebbe invece mai realizzarsi in un contesto come quello europeo, ci fa capire quale atroce beffa sia stato il comunismo applicato, e quanto astratto e impraticabile risulti essere l’assunto da cui tutto ha avuto origine.

Antonio Salerno



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