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Intervista a Gratteri:'Le cose possono cambiare,questa è la primavera calabrese'

27/12/2019



“Rinascita Scott” è stata solo l’ultima, anche se la più imponente, operazione guidata da Nicola Gratteri contro la ‘ndrangheta che ha portato all’esecuzione di 334 misure cautelari personali e al sequestro di beni per svariati milioni di euro, con un dispiegamento di forze di oltre 3000 uomini.
In più di trent’anni Gratteri, dal 2016 a capo della Procura della Repubblica di Catanzaro, ha inferto dei colpi terribili alla criminalità organizzata: ha spiegato cosa fosse, come si muovesse e la reale portata della potenza della ‘ndrangheta che, prima del suo incredibile impegno, era pressoché sconosciuta e sottovalutata.
Gratteri, indiscusso erede dei giudici Falcone e Borsellino, costretto a vivere sotto scorta dal lontano 1989, ha subito tantissime minacce ed evitato diversi attentati, ma è anche amatissimo dagli italiani e non solo. La sua attività ispettiva miete sempre più vittime anche tra le persone che contano: eventualità che, come fu all’epoca per lo stesso Giovanni Falcone, comincia ad essere foriera di antipatie e critiche nei suoi confronti che diventano sempre più frequenti. Non ultima quella mossagli dall’Unione delle Camere Penali.
Solo per citare una delle più recenti inchieste condotte dal magistrato originario di Gerace, potremmo ricordare l’operazione Stige: di cui noi de Lasiritide.it ci siamo occupati più volte, anche per via degli intrecci con la cosiddetta mafia del legno. Eppure, sembra che in tanti già l’abbiano dimenticata nonostante le condanne risalgano appena allo scorso settembre.
Nell’intervista che ci ha concesso, Gratteri ha parlato anche della ‘ndrangheta in Basilicata.


Nel libro "La rete degli invisibili” si fa riferimento ad una natura della ‘ndrangheta darwiniana, quindi capace di adattarsi all’ambiente. Per combatterla è necessario che anche lo Stato evolva in continuazione, sta avvenendo?
Le mafie non sono un corpo estraneo alla società, ma ne sono il frutto. Le mafie mutano con i cambiamenti sociali. Man mano che noi avanziamo, loro avanzano. Le mafie esistono perché si sono sempre nutrite del consenso popolare, altrimenti sarebbero state al massimo criminalità organizzata o comune. Sul piano sociale, negli ultimi vent’anni, le mafie si sono rafforzate perché la politica ha fatto molti passi indietro ed è diventata meno forte. In questo periodo c’è stato un capovolgimento della situazione: abbiamo visto che sono stati i politici a cercare i mafiosi e non viceversa. Questo perché il mafioso sta sul territorio per 365 giorni l’anno: il capomafia dà risposte sbagliate, drogate, ma dà risposte. Questo perché sta al di fuori delle regole della legalità e del libero mercato, basti pensare al lavoro in nero, sottopagato, e via discorrendo. I politici, invece, sono presenti sul territorio solo pochi mesi prima delle elezioni. La mafia, quindi, viene vista come il principale interlocutore in un tessuto sociale, come ad esempio quello del sud, dove è considerata l’ultima spiaggia per via di una percentuale di disoccupazione che supera il 50 per cento. La responsabilità di tutto questo è di tutti noi, compresi i magistrati, le forze dell’ordine, i giornalisti, gli storici. Ossia, di tutti gli addetti ai lavori che hanno continuato a raccontare la ‘ndrangheta parlando di una mafia stracciona, con il cappello in mano, al massimo di sequestratori o di soggetti in grado di comprare cocaina. Ma questo spiega solo in parte la potenza della ‘ndrangheta, perché in realtà si è sostituita in molti casi al potere dello Stato: è presente sul territorio e, grazie ai tanti soldi di cui dispone, corrompe anziché uccidere, bruciare una macchina o sparare ad una serranda. La ‘ndrangheta paga e così ottiene quello che vuole senza fare rumore. In questo modo l’opinione pubblica crede sia tutto sotto controllo e che non succeda nulla.

Pochi giorni fa è stato sciolto il Consiglio Comunale di Scanzano Jonico, la ‘ndrangheta è presente anche in Basilicata?
In Basilicata la ‘ndrangheta è presente da almeno 10 o 15 anni. Molti ‘ndranghetisti, attraverso il carcere di Melfi dove sono stati detenuti per diverso tempo, hanno “infettato” la criminalità organizzata lucana e c’è stato un collaboratore di giustizia che più volte è stato in Calabria, ad esempio ad Africo per comprare cocaina, che diceva che in Basilicata sono state trapiantate 6 strutture della ‘ndrangheta. Lo scioglimento del Consiglio Comunale di Scanzano è un grosso segnale della forte presenza della criminalità organizzata, che è anche strutturata. Quando si ricorre ad un provvedimento del genere, vuol dire che è stata avviluppata la cosa pubblica.


A cosa si riferisce quando dice che ancora oggi non abbiamo un sistema di norme proporzionale e proporzionato?
Siamo quasi nel 2020 e le mafie esistono ormai da un secolo e mezzo, ma se noi continuiamo ad inseguirle significa che le regole di ingaggio, come si definiscono nei teatri di guerra, non sono proporzionate. Penso alla necessità di creare un sistema giudiziario, nel rispetto della costituzione, proporzionato alla realtà criminale: fino a quando la gente delinque, vuol dire che conviene delinquere. Per cui, bisogna cambiare le regole del gioco affinché questa convenienza venga meno e mi riferisco ad un sistema processuale più efficiente, un sistema penale più serio e un sistema detentivo più serio.


La sua Procura ha puntato dritta a quello che Giovanni Falcone chiamava il terzo livello, ossia composto da politici, imprenditori, finanzieri e massoni. Eventualità che vi è valsa qualche critica da parte dei poteri forti. Non ultime, in tal senso, le parole delle Camere Penali Unite. Eppure in seguito all’operazione Stige, per citare solo quella più recente, le condanne erano fioccate.
In seguito all’operazione Stige ci sono state condanne complessivamente superiori ai 650 anni di carcere, a proposito di assoluzioni.


Le ha fatto male la nota dei penalisti?
Preferisco non commentare. Ognuno ha la sua storia ed è portare delle proprie idee. La storia spiegherà anche questo.


Lei, nell’immaginario collettivo, è posto assolutamente sullo stesso piano di Falcone e Borsellino. È amatissimo dalla gente e la sua fama ha valicato anche i confini nazionali. Ne sente la responsabilità, soprattutto nei confronti dei giovani?
Io amo in modo viscerale la Calabria e l’Italia. Per lavoro mi reco all’estero ogni 20 giorni, e ogni volta che sono all’estero mi emoziono nel vedere all’opera le grandi intelligenze italiane che sono lì e fungono da modello e da guida. Nel loro lavoro e nel loro settore sono dominanti. È bellissimo. Da calabrese, quando viaggio da Roma in su e mi accorgo che in tutti gli ospedali, o nelle università, lavarono meridionali, o noto che ai vertici dei Ministeri ci sono meridionali, allora mi chiedo come sia possibile non riuscire ad esprimere queste capacità nella nostra terra, così come accade nelle altre parti d’Italia, d’Europa o del mondo. Già dal primo giorno in cui scelsi di fare il giudice a Locri avrei potuto tranquillamente andarmene al nord, ma amo troppo la mia terra ed ho preferito rimanere in Calabria per dare una mano a cercare di cambiare le cose. Quindi continuerò lungo questa strada. Già trent’anni fa, quando non c’erano le telecamere dei telegiornali o l’attenzione dei giornali, andavo a parlare nelle scuole perché pensavo fosse necessario, accanto a fare il magistrato, impegnarsi nel sociale e spiegare che c’è un’alternativa e può esserci una speranza. Parlavo ai ragazzi proprio della non convenienza a delinquere. E piano piano è stato un crescendo e con il professor Nicaso abbiamo anche iniziato a scrivere libri sulla ‘ndrangheta, facendone l’esegesi e decriptandone anche i codici e le diverse dinamiche. Questo ha contribuito all’avvio delle relazioni con la società civile e mi auguro di continuare ancora a farlo. Questo lavoro ancora mi emoziona ed io sono il felice Procuratore della Repubblica di Catanzaro, con un ufficio bellissimo, dei colleghi stupendi e una polizia giudiziaria che è cambiata, migliorata ed è composta da gente meravigliosa. Per cui spero di poter proseguire lungo questa direzione di cambiamento, che è collettivo: è una partecipazione di tutto l’ufficio e di tutte le forze dell’ordine. Non sono un lupo solitario, ma sono il coordinatore che cerca di mettere insieme le intelligenze dei ragazzi, per poi fare la sintesi. Il compito del procuratore è mettere in condizione i suoi collaboratori di poter lavorare, ed è quello che cerco di fare. E man mano che passano i mesi e gli anni ci stiamo riuscendo sempre di più. Stiamo continuando a crescere e spero, nel medio periodo, di riuscire a cambiare il modo di pensare. L’aspetto più importante di questa primavera calabrese cui stiamo contribuendo, è che molta gente crede in noi e ci vede come un punto di riferimento. Questa è davvero la cosa più bella.


Questo è un passaggio importante: nel corso di tutti questi anni avete contribuito in modo decisivo a questa svolta di carattere culturale e di mentalità che c’è stata in Calabria. Ne siete consapevoli?
Sì, ce ne siamo accorti e pensi che io dedico un giorno alla settimana al ricevimento. Proprio oggi pomeriggio, e fino a stasera, ci saranno delle persone, quali usurati, che subiscono vessazioni o crimini di altra natura, che verranno a raccontarmi i loro drammi e la loro vita. Io li accolgo e poi li indirizzo verso il corpo competente, che siano carabinieri, polizia o finanza, in base alla tipologia di reato. Questo dimostra che i calabresi non sono omertosi, ma che non sanno con chi parlare.


Gianfranco Aurilio
lasiritide.it



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