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Recensione de 'Il sud deve morire' di Carlo Puca

8/09/2017

Il libro di Carlo Puca “Il Sud deve morire – esecutori, mandanti e complici di un delitto (quasi) perfetto di 304 pagine, edito nel 2016 da Marsilio nodi, ed acquistabile al prezzo di 17,50 euro, mette in rilievo che non tutti a Lampedusa sono così benevoli. I critici ci sono, soprattutto tra chi è più avanti con l’età. Ma ce l’hanno più con lo Stato che con i profughi. Vito Mannino, per esempio, abita al confine con il Centro d’accoglienza. Indica fisicamente un dettaglio buono a spiegare perché con i denari attribuiti a Lampedusa i lampedusani c’entrano poco: un tubo, un semplice tubo fognario, che serve il Centro per gli immigrati ma non casa sua, «perché hanno pensato soltanto al Cie, a noi no: eppure bastava una deviazione di cinque metri”. È un disinteresse, quello statale, che si palesa con mezz’ora di pioggia abbondante, trenta minuti che allagano le strade; insomma, qui le fogne hanno un funzionamento perlomeno incerto. Pure l’acqua generata dal nuovo impianto di desalinizzazione converge in condotte idriche obsolete e arrugginite. Gli edifici scolastici sono come sono (ovvero sotto la sufficienza) e, cosa più grave, gli insegnanti cambiano di continuo: quando va bene restano un anno, accumulano punteggio buono entrare di ruolo e poi tornano a casa loro.
Per comprare qualsiasi cosa bisogna calcolare un 25% di spesa ulteriore per la spedizione. Per intenderci, Amazon consegna fino ad Agrigento, da qui il resto del viaggio bisogna pagarlo a un monopolio che puzza di mafia. La prova provata è giunta il 2 dicembre 2015, quando la presunta «Nuova Cupola» di Agrigento e Porto Empedocle (tredici persone in tutto, compreso un ipotizzato basista lampedusano) è finita in manette, scrive la Squadra mobile, anche «per aver condizionato il trasporto da e per Lampedusa». Insomma, per ragioni endogene ed esogene, la vita sull’isola costa cara a fronte di servizi insufficienti. Giuseppe Mercurio, un pescatore pensionato, memoria storica dell’isola, la mette così: «A Roma si riempiono la bocca per aver risolto il problema di Lampedusa. Forse stanno risolvendo il problema degli immigrati, ma a noi c’hanno completamente abbandonato». O quasi. Ma solo perché a tampinare il governo è la sindaca Giusi Nicolini. Non è facile incontrare Giusi (non è una confidenza eccessiva, qui quasi tutti si chiamano per nome e si danno del tu). Da maggio 2012 guida di un Comune di seimila abitanti che ne vale seicentomila in termini di energie da spendere. Alla fine l’appuntamento lo fissa Maurizio, più noto come Maurizietto. È un folletto buono e vivace, un poeta inconsapevole. Alla domanda «Che cos’è Lampedusa?» risponde inquieto: «Per noi è il mondo intero. Per il resto del mondo è un luogo di passa», un luog Le prede, i meridionali perbene, si difendono come possono, anzitutto con l’ignavia dei pensieri. È così che il fatalismo è diventato assuefazione: per la convinzione che nel Mezzogiorno d’Italia nessuno aggiusterà mai la finestra della civiltà. Allora tanto vale vivere senza pensieri (e rabbia e dolore) nell’inciviltà. È il silenzio indifferente degli innocenti.
Solo così si spiega la tolleranza con la quale in Sicilia accettano l’apocalisse delle infrastrutture. Il viadotto Himera, crollato sulla Catania­Palermo il 10 aprile 2015, ha diviso l’isola a metà, ma i siciliani si sono immediatamente adattati. E Himera è soltanto il caso più clamoroso, di cedimenti strutturali ne sono seguiti molti. Il dato finale è impressionante: fra interruzioni, lavori in corso e crolli, su ventimila chilometri di strade siciliane, cinquemila sono chiusi al traffico. Altro che finestre! Qui bisogna ricostruire le fondamenta. Quanto ai treni, in Sicilia sono i più lenti d’Italia. L’89% della rete ferroviaria è a monorotaia. Per andare da Ragusa a Palermo si impiegano 6 ore e 40 minuti, da Catania a Palermo 3 ore e 18. La linea tra Caltagirone e Gela è chiusa dal 2011 per il cedimento di un ponte, mentre i crolli si abbattono periodicamente sulla Catania­Messina, la Palermo­Trapani e i pendolari che le percorrono. In Sicilia, per capirci, capita pure che i treni transitino a mesi alterni. Cosa volete che sia. In questa regione, nel iii millennio della civiltà cristiana, l’acqua resta ancora un miraggio per decine di migliaia di persone. E pure chi ce l’ha prega Dio ogni santo giorno nella speranza che le condutture resistano alle calamità.
Una situazione davvero critica quella del Sud con infrastrutture carenti, dalla sanità ad altri servizi pubblici per non parlare del tasso di disoccupazione che continua costringere i giovani ad emigrare altrove.
Non si può parlare di unità d’Italia senza lo sviluppo del Sud che non deve morire come viene riportato nel titolo di questo libro, ma deve uscire dal perenne isolamento, e soprattutto creare le infrastrutture che mancano, insomma diventare una parte dell’Italia prolifica dove vi sia prosperità.



Biagio Gugliotta



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