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Luca 8,29 – la tempesta sedata |
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23/04/2011 | Un giorno salì sulla barca con i suoi discepoli e disse: “ passiamo all’altra riva del lago”. Presero il largo. Ora, mentre navigavano, egli si addormentò. Un turbine di vento si abbattè sul lago, imbarcavano acqua ed erano in pericolo…
Chi scrive, ama particolarmente questo passo dei Vangeli perché qui pare proprio che Gesù si rivolga ad ognuno di noi. Presto verrà il momento in cui verranno officiate le comunioni ai bambini che stanno per lasciare la beatitudine dell’infanzia per imbarcarsi, con l’ingenuità e la purezza tipica di quella età, su quell’ideale vascello a cui è stato dato il nome “vita” e lo faranno, in quel giorno, partecipando per la prima volta al rituale dell’eucarestia, in compagnia di Gesù. Proprio come i discepoli, proprio con lo stesso animo sereno intraprenderanno il loro viaggio in quel mondo che, come le acque del lago, può essere pescoso e placido o al contrario turbolento e pieno di insidie. Appena preso il largo pare che Gesù si addormenti accanto a loro, e che essi ne avvertano, distrattamente, una presenza passiva. Poi però, presto o tardi, il vento si leva sulle umane esistenze, e allora? Quello che succede quando nella vita di ognuno sopraggiunge la tempesta lo leggiamo nel vangelo di Luca: “ …Accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: “ Maestro, maestro, siamo perduti!”. E Lui, destatosi, sgridò il vento e i flutti minacciosi; essi cessarono e si fece bonaccia. Allora disse loro: “dov’è la vostra fede?”. Essi intimoriti e meravigliati si dicevano l’un l’altro: “ chi è dunque costui che dà ordini ai venti e all’acqua e gli obbediscono?”. Quale forza; quale intensità si trova racchiusa in queste poche righe, in questo fotogramma che cattura i discepoli sulla barca squassata dalla tempesta. Pare quasi di vederli, avvicinarsi pensierosi e perplessi a Gesù; di udirli, sussurrare col terrore dipinto sui volti bruni e con un filo di voce: Maestro, Maestro! La scena raggiunge il suo culmine quando il Cristo, sollevando piano le palpebre, pare osservare triste il cielo livido, minaccioso: triste perché i suoi figli non sanno trovare da soli la strada, perché quella natura umana, all’apparenza così elevata, non riesce ad estendersi, a dilatarsi oltre i confini del proprio egoismo. Nel momento in cui, l’esile fiaccola della vita viene scossa da un forte vento, spesso ci si avvicina a Gesù con la preghiera e si pronuncia più e più volte il suo nome per invocare soccorso. Ma cosa ha cambiato in noi l’essere usciti indenni dalla tempesta? Cosa siamo disposti a dare ora che ci consideriamo salvi, al sicuro sulla solida roccia? “dov’è la nostra fede?”.
Antonio Salerno |
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