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Novembre, il mese dei morti

30/10/2011

Si apre domani un’altra porta del tempo che ci conduce in Novembre, il mese dei morti. La stessa natura ci parla di questo mese con le sue nebbie, le brume, le maggesi i prati e i boschi che profumano di terra. Quella terra a cui, prima o poi, tutto viene restituito. E l’uomo, quello antico con le sue tradizioni, ne adorna gli altari con i propri riti: le caldarroste; i mosti profumati nelle cantine, che impregnano l’aria; i comignoli incombusti che innalzano tortuose colonne di fumo nero dal focolare novello. Un mese dedicato al pianto e al compianto, che mesce l’identico sentimento dell’uomo e della natura: la vita che si spegne a favore della vita che rinascerà. È questo il mese della preparazione. Padri e madri danno la vita e coltivano amorevolmente il cammino dei figli. Questi ne serberanno istruttiva memoria e onoreranno i sepolcri nei quali giace quello che fu un germoglio. Il contadino rovescia la zolla e vi deposita un seme che sarà la messe di Giugno. Tutto comincia e finisce secondo un disegno a noi sconosciuto. Tutto questo viene celebrato nel mese dei morti. Vogliamo onorare e rappresentare questo momento in compagnia del poeta che meglio lo identifica con la sua arte, così pregna di onomatopee, di riferimenti alla natura e all’animo umano che forse, in questo mese, divengono paradigma della intera esistenza: vita, morte, natura e mistero. Cominciamo subito coi versi del poeta: “Mammina…bianca sopra il letto bianco, tu dormi./ Chi sul volto ti compose/ quel dolor pago e quel sorriso stanco?/ Tu dormi: intorno al languido origliere/ tutto biancheggia. Intorno a te le cose/ fanno piccoli cenni di tacere./ E tutto aleggia e tutto tace. Il fine/ è questo, è questo il cominciar d’un rito?/ Di tra un silenzio candido di trine/ parla il mistero in suono di vagito.” L’immagine della morte come placido sonno perché nessuno muore quando sopravvive nel cuore degli altri.
Ma non è novembre senza i sepolcri. Senza quei giardini, custodi accorti dei nostri amori, sacro reliquiario degli umani affetti: “…o casa di mia gente, unica e mesta,/ o casa di mio padre, unica e muta,/ donde l’inonda e muove la tempesta;/ o camposanto che sì crudi inverni/ hai per mia madre gracile e sparuta,/ oggi ti vedo tutto sempiterni/ e crisantemi. A ogni croce roggia/ pende come abbracciata una ghirlanda/ donde gocciano lacrime di pioggia./ Sibila tra la festa lacrimosa/ una folata, e tutto agita e sbanda./ Sazio, ogni morto, di memorie posa...”. Ma la tristezza e il rimpianto non sono che un fremito fugace, quando ci si reca in quel sacro posto “su cui l’ombra tace”. Come nuvola passeggera che offusca solo per un istante l’armonia della vita, arrivano i ricordi gentili e le gioie vissute ed il mistero che non ci è dato comprendere apre la via alla speranza. Allora novembre consolatore stringe tutti al focolare, nel calore della vita che si rinnova anche nel giorno del compianto “ la casa è serrata; ma desta:/ ne fuma alla luna il camino./ non filano o torcono: è festa./ scoppietta il castagno, il paiolo/ borbotta. Sul desco c’è il vino,/ cui spilla il capoccio da solo./ In tanto essi pregano al lume/ del fuoco: via via la corteccia/ schizza arida…Mormora il fiume/ con rotto fragore di breccia…/ è forse ( io non odo: non sento/ che il fiume passare, portare/ quel murmure al mare) d’un lento/ vegliardo la tremula voce/ che intuona il rosario, e che pare/ che venga di sotto una croce,/ da sotto un gran peso; da lunge./ quei poveri vecchi bisbigli/ sonora una romba raggiunge/ col trillo dei figli dei figli./ Oh, i morti! Pregano anch’essi,/ la notte dei morti, per quelli/ che tacciono sotto i cipressi./ Passarono…O cupo tinnito/ di squille dagli ermi castelli!/ o fiume dall’inno infinito! Passarono…sopra la luna/ che tacita sembra che chiami/ io vedo passare un velo, una/ breve ombra, ma bianca, di sciami”. E dopo questa splendida immagine, offertaci dal poeta che oggi abbiamo scelto, Giovanni Pascoli, della casa viva e calda di affetti, riunita in preghiera e la flebile scia luminosa delle anime che fila nel cielo della notte, anch’essa in preghiera, concludiamo con poesia che proverò a comporre guardando fuori dalla mia finestra:
“Improvvisi bagliori e
il cielo fosco dei morti.
Cumuli tristi scorrono
lenti verso orizzonti
lontani e forse
tra breve vedranno
increspare
le acque nere del mare,
scuotere i flutti
l’uragano furioso.
L’imprevedibile luce
Nervosa, elettrica, psicotica e
Senza armonia, né
Amore
Segna il cammino a quelle
masse grigie, sfrangiate
Rigonfie di gocce gelate,
squarciando l’abisso profondo,
aprendo la via,
ad un timido raggio di luna che,
orfano,
trova riparo negli occhi di un bimbo,
incantati,
seduto dietro ai vetri appannati.
Presi a scrutare il futuro;
persi lì dove
la tempesta andrà a morire…

Antonio Salerno



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