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La pittura di Lelle Levi Sacerdoti in mostra a giugno ad Aliano

6/06/2025

L’8 marzo di quarant’anni fa, in un giorno di alto significato simbolico che profumava di mimose, se ne andava in punta di piedi, con la stessa discrezione con cui aveva vissuto per tutta la vita, Adele Leonilde Levi, detta Lelle, una donna dotata di qualità umane ed artistiche rare e mai ostentate. Morì a Napoli, divenuta la sua città a partire dal 1942, quando vi si era definitivamente trasferita, dopo aver sposato Edoardo Dino Sacerdoti.

Erano tempi tristissimi, perché da due anni infuriava la disastrosa guerra nella quale, il 10 giugno del 1940, l’Italia era stata trascinata sciaguratamente dalla follia di un mitomane, che per una tragica ironia della sorte poco più di dieci anni prima, in occasione del Concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, era stato indicato da Pio XI, papa Ratti, come “l’uomo della Provvidenza”.

Il matrimonio fra Dino e Lelle, celebrato in un periodo di rovina e di dissoluzione, volle essere un inno alla vita da parte di chi disperatamente resisteva, mentre tutt’intorno trionfava la morte. Tale in effetti si rivelò, perché quella flebile fiamma di speranza dei due giovani fu presto alimentata dalla venuta al mondo nel 1944 di Guido, il primo bambino ebreo nato a Napoli dopo la liberazione della città dai nazifascisti. Negli anni successivi ad allietare la vita di Dino e Lelle sarebbero arrivati anche Franco e Paola.

Lelle Levi morì all’incirca alla stessa età e a dieci anni di distanza dal fratello Carlo, che, com’è noto, fu un esponente di spicco del Novecento italiano come pittore, scrittore, intellettuale e uomo politico. Ultima dei quattro figli di Ercole e Annetta Treves, era nata a Torino nel 1912 dopo Luisa (1898), Carlo (1902) e Riccardo (1904). Era, quella dei Levi, una famiglia ebrea benestante e molto unita, in cui i legami affettivi erano cementati da saldi valori morali e da comuni interessi intellettuali ed artistici. Il capofamiglia, un commerciante di stoffe giunto nel capoluogo piemontese dalla vicina Alessandria nello scorcio finale dell’Ottocento, trasmise la passione per la pittura, oltre che al secondogenito, anche a Riccardo e a Lelle, che a loro volta la trasferirono ad alcuni dei loro figli. Guido Sacerdoti e Stefano Levi della Torre ne furono contagiati più di tutti.

A tale riguardo è sintomatico che, quando nel 1904 i Levi andarono ad abitare dalla Val Salice nella bella villa in stile liberty di via Bezzecca, Ercole volle che nelle scale interne facesse bella mostra di sé un ritratto che gli aveva fatto l’ex compagno di scuola Pellizza da Volpedo. Ma pure significativo è che non pochi componenti del numeroso clan leviano, che puntualmente si ritrovavano nella bella villa di famiglia ad Alassio, occupassero nella pittura molte ore delle loro vacanze estive.

Fra loro non mancavano mai Lelle e il figlio primogenito Guido, nipote prediletto di don Carlo, che sarebbe diventato medico e pittore come lo zio e che proprio sotto la sua guida amorevole e sapiente prese dimestichezza coi pennelli e iniziò a dipingere gli ulivi, i carrubi, i paesaggi marini del paesaggio ligure. Delle donne, invece, Lelle fu l’unica che si dedicò alla pittura, sollecitata dall’esempio del padre e del celebre fratello.



Quest’ultimo fin da giovane diede una svolta decisiva alla sua vita, assecondando la sua inclinazione per l’arte: Infatti, non molto tempo dopo essersi brillantemente laureato in medicina all’età di soli ventidue anni, rinunciò al camice di medico per quello di pittore. In tale scelta determinante fu l’incontro con Felice Casorati, personaggio carismatico nel mondo intellettuale ed artistico torinese del primo dopoguerra, conosciuto tramite Piero Gobetti.

Negli anni successivi l’attività pittorica di Carlo Levi non fu pregiudicata e neppure rallentata dall’impegno sempre più intenso nella lotta politica contro il fascismo, sicché perfino in carcere egli riuscì a disegnare e a dipingere, utilizzando materiale di fortuna. Né valse a distoglierlo dalla pittura la condanna al confino in Lucania. Questa dura e dolorosa esperienza, anzi, gli fornì l’occasione per dare ulteriore impulso e aprire nuovi orizzonti alla sua arte.



Lelle Levi non raggiunse evidentemente i vertici e la notorietà del fratello. Ma, non ostanti le incombenze familiari e i condizionamenti del tempo, che, anche quando non la escludevano del tutto, relegavano la donna a un ruolo marginale nell’ambito di alcune professioni e attività sociali, dopo essersi laureata in lettere, coltivò la passione per l’arte e la musica e diventò una valente pittrice e pianista.

Lelle Levi Sacerdoti ha lasciato oltre duecento dipinti e più di mille disegni di notevole cifra estetica, che, pur non essendo rimasti del tutto ignoti, non hanno tuttavia ricevuto l’attenzione e la considerazione che avrebbero meritato, anche per la riluttanza dell’autrice a presentare le opere in mostre personali o collettive. Per fortuna a far conoscere e valorizzare questo ingente e prezioso patrimonio artistico provvede ora il nipote Carlo Sacerdoti con belle iniziative, in cui propone l’attività artistica della nonna insieme con le opere del padre Guido. Fra le altre piace ricordare la mostra “Lelle Levi Sacerdoti: lessico pittorico familiare”, il convegno organizzato con la Fondazione Valenzi a Napoli e la pubblicazione di un pregevole catalogo, curato dalla critica d’arte Olga Scotto di Vettimo. Più recentemente di concerto con la Fondazione Morra si è realizzato a Napoli un evento di beneficenza molto apprezzato, la Mostra Collezione Maestri di Strada. Ma ancora più rilevante è stata la convenzione ufficializzata nel gennaio scorso fra Carlo Sacerdoti e il sindaco di Aliano Luigi Delorenzo, in base alla quale sono stati concessi in comodato d’uso al Comune di Aliano trentatré dipinti, ventidue di Guido Sacerdoti, nove di Lelle Levi Sacerdoti e due dello stesso Carlo Levi. Le opere saranno esposte in una mostra permanente, che sarà inaugurata a giugno nel contesto delle celebrazioni del 90° anniversario dell’invio al confino dell’artista torinese, del 50° della sua morte e dell’80° della pubblicazione del Cristo si è fermato a Eboli. Sta per nascere, dunque, un’altra preziosa struttura, che potrà contribuire ad incrementare il turismo culturale, che negli ultimi anni ha assunto dimensioni già rilevanti nel paese lucano in cui Levi fu confinato. Nel contempo servirà anche a consolidare il rapporto ideale con l’artista torinese, che cinquant’anni fa per una provvida decisione dei suoi familiari fu sepolto nel cimitero alianese. Così Aliano sarà più che mai nel sentire comune il paese di Carlo Levi.


Angelo Colangelo



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