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Basilicata e petrolio: quel pozzo a San Paolo Albanese/pt 2

3/08/2023

Torniamo ad occuparci dei pozzi di petrolio a San Paolo Albanese; qui nel 1996 la Edison Gas, a seguito di un permesso di ricerca denominato “Fiume Sarmento”, decide di investire e “indagare” meglio il sottosuolo. In pratica, la Società energetica prosegue tutta una serie di studi e ricerche, iniziate nel 1962 con la perforazione del pozzo denominato “Casalnuovo 1”, e che portò alla scoperta, alla profondità di 2146 m, di manifestazioni di idrocarburi liquidi in tutta la piattaforma esplorata. Gli oli rinvenuti in tale circostanza furono campionati e presentavano una densità piuttosto alta (da 6 a 14°API): questo vuol dire che, molto probabilmente, si trattava di miscele idrocarburiche abbastanza pesanti e, conseguentemente, poco “pregiate”, anche se, secondo la classificazione internazionale API, un petrolio pregiato avrà un alto valore di grado API, maggiore di 10°API. A titolo di esempio e per avere un confronto con quanto stiamo dicendo, tra i petroli pregiati figura quello di Brega (Libia) che ha 42°API con un tenore di zolfo pari allo 0,2%. Comunque, la società energetica, come detto, ritiene l’area in questione promettente da un punto di vista esplorativo e non solo e decide di perforare un nuovo pozzo. Questa convinzione viene messa nero su bianco da Edison nella relazione dell’istanza di perforazione affermando che “Edison Gas ritiene pertanto che il progetto M. Carnara 1 sia minerariamente ed economicamente interessante”.
Questa volta l’indagine si sposta di qualche chilometro più a nord rispetto al pozzo Casalnuovo 1, in una zona non certo facile per questo tipo di operazioni, difficoltà peraltro segnalate dalla stessa Edison Gas, “sondaggio che, per la situazione morfologica del territorio su cui si va a operare, sarà di non facile esecuzione causa le difficoltà tecnico-logistiche che si potranno verificare durante la sua esecuzione” si legge. Comunque, disagi a parte e superata la trafila burocratica per avere tutte le concessioni necessarie, finalmente i lavori possono partire. In primis si parte con i cosiddetti lavori civili, come la costruzione del piazzale e tutte le attività ad esso connesse, per poi giungere alla fase di perforazione vera e propria che verrà svolta in soli due mesi, dal 20/07/1996 al 23/09/1996 prima che fosse dichiarato sterile il pozzo. Intanto nel rapporto finale di perforazione leggiamo che, anche in questo secondo sondaggio, e a conferma di quanto era emerso un trentennio prima nel pozzo Casalnuovo 1, a 1900 m e a 2300 m circa di profondità, si trovano tracce di olio. In questo secondo caso, però, non conosciamo la densità degli oli rinvenuti e se questa fosse maggiore o minore di quella rinvenuta un trentennio prima nel pozzo di poco distante.


Comunque sia, la Edison Gas dichiara il pozzo Monte Carnara 1 sterile e provvede alla sua “chiusura mineraria per abbandono pozzo, con 4 tappi di cemento, alle seguenti profondità: 1° tappo 1650-1800 m; 2° tappo 1500-1650 m; 3° tappo 500-700 m; 4° tappo 0-150 m”.
Ora, conclusa la trafila burocratica e operativa dei pozzi in questione, emergono una serie di dubbi e interrogativi di non facile risposta. Primo fra tutti, come mai nella relazione tecnica allegata all’istanza di rinvio dell’obbligo di perforazione nel permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi ‘F. Sarmento’, del giugno 1993 la Edison Gas dichiarava che “il progetto M. Carnara 1 sia minerariamente ed economicamente interessante e si appresta alla sua esplorazione mediante un sondaggio” e poi tre anni dopo, nel 1996, dopo due mesi di perforazione e pur avendo rinvenuto in due punti tracce di olio (il che confermerebbe le indagini del 1963) dichiara il pozzo sterile? Cosa spinse le Società nel 1993 ad affermare il progetto era minerariamente ed economicamente interessante per poi smentirsi tre anni dopo? Paradossalmente, risultano veritiere le indagini di un trentennio prima (riguardo alla presenza di olio) e non quelle di un triennio prima? Sicuramente ci saranno state delle valide motivazioni che spinsero la Edison Gas a dichiarare sterile il pozzo, soltanto che queste non sono note all’opinione pubblica, la quale ha tutto il diritto di sapere cosa succede nel territorio in cui vive. Le inchieste giudiziarie, poi, portate avanti dalla magistratura potentina a partire dal 2016 sullo smaltimento dei rifiuti legati alle attività estrattive non lasciano presagire nulla di buono. Su questo aspetto specifico Davide Bubbico in un suo scritto del 28 aprile 2016, “Gli idrocarburi in Basilicata”, pubblicato nella “Rivista di cultura e di politica” edita da Il Mulino, afferma che “ L’accordo [tra Eni, Governo e Regione Basilicata del 1998 inciso nostro] prevede nella sostanza la realizzazione di 54 pozzi per una produzione autorizzata di 104 mila barili giorno...mentre per il gas estratto questo verrà immesso nella rete Snam. Per lo smaltimento delle acque di strato, che sono uno degli aspetti al centro della recente indagine della magistratura potentina, l’Eni utilizza già all’epoca un pozzo considerato non più attivo e un sistema di trasporto esterno per lo smaltimento in siti autorizzati, anche se da sempre insiste la richiesta da parte della compagnia per l’utilizzo di altri pozzi per le attività di re-iniezione”. Affermazioni che devono far riflettere e che, in parte, riflettono quello che la gente, anche dei paesi vicini, affermava e cioè il transito, di notte, di camion verso l’area di trivellazione. Con questo non si vuole assolutamente dire che nel pozzo in questione venivano smaltiti rifiuti, ma soltanto conoscere e sapere cosa è avvenuto e perché il pozzo sia stato chiuso. Poi sicuramente i camion che salivano di notte saranno stati una coincidenza in quanto legati all’attività del pozzo. Ma in assenza di dati certi, le supposizioni si moltiplicano; recita un detto latino che non necessita neanche di traduzione “se charta cadit, tota scientia galoppat”!
Un’ultima considerazione: perché il pozzo perforato nel 1963 quando è stato chiuso minerariamente è stato lasciato sporgere dal terreno mentre quello del 1996 è stato coperto e ad oggi è impossibile individuarne il luogo esatto dove era collocato? Ha a che fare con i regolamenti delle aree protette in quanto zona Parco?

Nicola Alfano



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