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Una storia triste

12/08/2012

“ rinunziare a un’inesistente libertà e riconoscere una dipendenza che non sentiamo” (Tolstoj). Un mendicante, anche un po’ scemo a dire il vero, si aggirava tra i vicoli del mercato di Baghdad allungando lo sguardo sulle mercanzie esposte sui banchi di quell’intricato labirinto. Dicono alcuni che l’intelligenza e la furbizia siano cose molto differenti che a vote si compensano a vicenda così che dove ne manca una se ne trovi in abbondanza l’altra. Fu grazie a questa risorsa più vile, la furbizia, che Idrees pensò di dedicarsi anche lui al commercio. Ma cosa vendere? Egli possedeva una dote ben nascosta che non voleva rischiare per nulla al mondo e per giunta non aveva una gran voglia di lavorare. Così si trovava ad avere un’idea ma non sapeva come realizzarla. Bighellonando per le strade della città gli capitava spesso di ascoltare dei discorsi di piazza restandone affascinato e questa cosa lo spingeva a fare progetti. Un giorno, sedendo sui gradini di una Moschea, il vento trascinò ai suoi piedi un foglio stracciato a metà con sopra scritto uno di quei discorsi, evidentemente buttato via dopo l’uso. Idrees non perse un attimo e si mise subito alla ricerca dell’altra metà, perlustrando meticolosamente la piazza. Nuvole di polvere si alzavano in cielo strattonate dal vento e l’uomo avanzava a stento tra i turbini. In tutto quel movimento non era facile ritrovare un pezzo i carta ma si sa, a guidare i passi degli uomini è sempre il destino che anche in quel caso condusse il mendicante, arso dalla sete portata dalla polvere inalata, presso una fonte lì vicino. Giuntovi, vide galleggiare sulla superficie dell’abbeveratoio il suo tesoro. Lo afferrò subito e lo pose ad asciugare al sole. I caratteri si erano conservati leggibili quindi l’uomo ripiegò con cura la parte del foglio e la pose sotto il mantello, insieme all’altra. Era ciò che gli mancava: alla furbizia era riuscito ad aggiungere qualcosa di intelligente, anche se non gli apparteneva. Così, deciso ad afferrare la sorte per la coda, si recò al mercato e vi rimase, in attesa. Non passò molto tempo che un vecchio commerciante, proprietario di un banchetto occupante un’ottima posizione nel grande bazar, all’improvviso sbiancò, il suo capo cominciò a ciondolare prima da un lato poi sul petto. Idrees che non aspettava altro fu sul vecchio in un attimo, gli si mise a fianco e lo distese con amorevole cura accanto alle mercanzie, come per consentirgli un sereno sonnellino, continuando a vendere al posto suo per una mezz’ora dopo di che diede l’allarme: ” chiamate un dottore, il mio padrone sta male” urlava. E subito accorse gente. Dopo un po’ arrivarono anche il dottore con i parenti ma troppo tardi: il vecchio non c’era più. Furono raccolte le cose del morto e il corpo fu portato a casa per essere sepolto. In quel mentre Idrees rimase lì, dietro al banchetto vuoto, trapassato dagli sguardi d’odio di quanti erano da tempo in attesa che quel posto si liberasse e che, nel momento buono, non erano riusciti ad accaparrarselo. La gente che passava, guardava curiosa quel banco vuoto e non sapeva spiegarsi cosa vi si vendesse. Vincendo le riserve qualcuno cominciò a chiedere: cosa si vende qui? E subito, già da tempo preparatosi a una simile domanda, l’ex mendìco rispondeva: un futuro migliore! E come faresti? gli chiedevano tutti. E quello cominciava a sciolinare qualcuna delle frasi lette, e neanche ben comprese, riportate sul quel foglio ritrovato per caso sul quale vi era stato impresso un discorso che nessuno si era fermato mai ad ascoltare al punto che il suo autore lo aveva stracciato e buttato via per la rabbia. In molti cominciarono a sostare per qualche minuto in quel posto un po’ per il divertimento di ascoltare quelle incredibili ricette per la salvezza del mondo, un po’ perché quel personaggio risultava accattivante. E intanto le relazioni tra il finto predicatore ed il popolo del Suq si infittivano. Strizzando l’occhio a qualcuno Idrees sussurrava: se vuoi ti aiuto in quel tuo affaruccio con quella persona che conosco e che a te serve tanto. Ad un altro: potrei parlare io con l’ebreuccio visto che la tua famiglia è sua nemica. Così quando quelli ripassavano e si fermavano per salutare, Idrees non perdeva tempo e gli parlava di quella o dell’altra cosa. Fu così che tutti cominciarono a considerare lo stupido Idrees il grande saggio del mercato e si recavano da lui per cose che prima facevano normalmente da soli. Col tempo il potere dell’accattone cresceva e cresceva e tutto finì col passare per le sue mani al punto che riuscì ad essere eletto capo di Baghdad. File di persone si accalcavano per chiedere sotto forma di favore le stesse cose che prima ricevevano senza dovere nulla a nessuno. E il nero Idrees dispensava ad alcuni mentre ad altri negava. Credeva egli stesso di essere un Dio. La sua protervia aumentava, sotto la spinta della mediocrità, di giorno in giorno soprattutto da quando lo stuolo dei servi che lo circondava, ubbidendo ad un suo cenno, spargeva il terrore tra quanti non accettavano quello stato di cose. Il mercato intanto si impoveriva: gli amici del “tiranno” facevano fortuna mentre i buoni cittadini meritevoli venivano spogliati di ogni loro diritto. Insieme al mercato anche la splendida città cominciò a morire sotto quel governo corrotto mentre Idrees, l’uomo in nero, solo andava dicendo che quello era un posto felice, un’isola di delizie perché c’era lui a difendere i poveri, che egli stesso creava, e a gestire così sapientemente gli affari; a fare delle leggi giuste e a garantire ad ognuno quello di cui aveva di bisogno. Così tutto ristagnava, degradava, imputridiva fin quando un giorno, un bambino dallo sguardo triste ma che bruciava vivo come brace infondo a due bellissimi occhi, si recò a bere alla stessa fonte ove tutto era iniziato. Vi trovò una donna in lacrime, seduta nel fango con le vesti bagnate. Il ragazzo le pose la mano sulla spalla chiedendole chi fosse e se avesse bisogno di aiuto. Ella sollevò su di lui uno sguardo di Dea attraversandolo come un brivido fino al cuore, poi disse: Eraclej, io mi chiamo “Libertà” e sto morendo. Tu puoi ancora salvarmi, e così dicendo gli porse un vecchio foglio tagliato a metà, insudiciato e sgualcito. Il ragazzo lo prese e vi lesse la prima frase: “ rinunziare a un’inesistente libertà e riconoscere una dipendenza che non sentiamo”. La donna si perse nella calca delle persone lasciando il ragazzo pensieroso sul ciglio della vasca. Il giorno dopo egli cominciò a parlare ai poveri abitanti di Baghdad raccontando loro di progresso, di diritti, di verità e di menzogne; di Stato e di leggi fatte dagli uomini per il bene degli uomini. A quanti gli chiedevano: Eraclej, chi ti ha insegnato queste cose? Il ragazzo rispondeva, col suo sguardo che ricordava le acque verdi e senza lacci del limpido mare: una donna che sta morendo: la “tua” Libertà.

Antonio Salerno.





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