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| ITREC. Legambiente: 'Occorre fare chiarezza e garantire tutela della salute' |
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16/04/2018 | La notizia del sequestro predisposto dalla Procura della Repubblica di Potenza sulla base di indagini dei carabinieri del NOE, di tre vasche di raccolta delle acque di falda e della condotta di scarico proveniente dall'impianto ITREC di Rotondella, è allo stesso tempo preoccupante e sorprendente.
"La preoccupazione - dichiara Antonio Lanorte, Presidente di Legambiente Basilicata - nasce dal fatto che i reati ipotizzati nell'inchiesta sono gravi: inquinamento ambientale, falsità ideologica, smaltimento illecito di rifiuti e traffico illecito di rifiuti". In particolare, secondo quanto riportato dalla stampa, gli inquirenti avrebbero accertato ‘una grave ed illecita attività di scarico a mare dell’acqua contaminata, che non veniva in alcun modo trattata. In particolare, le acque contaminate, attraverso una condotta, partivano dal sito in questione e, dopo avere percorso alcuni chilometri, si immettevano direttamente nel mare Jonio’.
L'inchiesta della Procura di Potenza riguarda le acque di falda contaminate da sostanze chimiche, in prevalenza tricloroetilene e cromo esavalente, che costituiscono l'eredità avvelenata dell'attività di un impianto posto in area ENEA (Magnox) che fino al 1987, anno in cui le attività di ITREC vennero interrotte a seguito del referendum sul nucleare, utilizzava tali sostanze nel riprocessamento delle barre di uranio-torio.
"Qui emerge - continua Lanorte - l'aspetto sorprendente della vicenda, poiché tale contaminazione chimica non radiologica era nota da tempo, almeno dal 2015, sulla base dei risultati ottenuti dai piezometri installati per le attività di monitoraggio da SOGIN, la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani. Tuttavia mai si era posto in dubbio che la contaminazione non fosse confinata in un'area specifica e soprattutto che ci fosse scarico a mare di acque contaminate. Inoltre non più di 6 mesi fa, ENEA e SOGIN avevano fornito rassicurazioni sulla caratterizzazione, sulla messa in sicurezza e sulla bonifica del sito anche attraverso la rimozione delle vasche e delle tubature che contengono i reflui".
Inoltre, ARPAB, che in quel periodo sottolineava il pericolo derivante dallo stato di contaminazione della falda, suggeriva la realizzazione di una barriera idraulica a valle del sito e conseguente avvio di un monitoraggio mensile delle acque di falda all’interno ed all’esterno di tale barriera.
"A questo punto - sostiene ancora Lanorte - occorre necessariamente fare chiarezza su questa vicenda che evidentemente presenta troppi punti oscuri". In particolare, andrebbe chiarito senza ambiguità se e come le acque contaminate vengano trattate poiché la stessa SOGIN si limita a precisare che le strutture in sua gestione sequestrate (3 vasche di raccolta e condotta di scarico) 'sono utilizzate, secondo quanto previsto nel Rapporto Finale di Sicurezza della Licenza di Esercizio, per emungere, convogliare e quindi scaricare l’acqua di falda soggiacente il sito per evitare che la stessa interferisca con le strutture dell’impianto ITREC'. Insomma SOGIN non parla di attività di trattamento delle acque. Inoltre, chi ha la responsabilità sul serbatoio interrato e relativa condotta in ex area Magnox, considerato che SOGIN dichiara che tali impianti non sono in sua gestione? Peraltro anche la Regione Basilicata ha espresso dubbi sulla posizione di SOGIN a valle della Conferenza di Servizi del 10 aprile scorso chiedendo parere formale ad ISPRA: di quali dubbi si tratta?
"Insomma - conclude Lanorte - è opportuno e giusto confidare nel lavoro della Magistratura per accertare le eventuali responsabilità, ma soprattutto ora è necessario mettere in atto i provvedimenti necessari a tutelare la salute dei cittadini e l'integrità del territorio".
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